Diabete scompensato: cos’è, quali sono i rischi, cosa fare

Può accadere che il diabete non sia ben controllato, per cui la glicemia subisce profonde oscillazioni rispetto ai range fissati come obiettivo terapeutico. Cosa dice l’esperto



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Spesso, si dice che avere il controllo su tutto non serve e fa vivere male. Ma questo non vale per alcune condizioni di salute, come il diabete, dove avere il polso della situazione è fondamentale per evitare complicanze più o meno gravi.

«Non esiste una definizione univoca del cosiddetto diabete scompensato, anche se in linea generale questo si verifica quando i valori della glicemia non si mantengono nei range prefissati», spiega il dottor Rinaldo Guglielmi, direttore dell’Unità operativa complessa di Endocrinologia e Malattie metaboliche dell’Ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale, Roma. «L’obiettivo però è molto variabile, perché il medico dovrebbe valutarlo per ogni singolo paziente sulla base di una serie di fattori, come l’età, il genere, la durata della malattia e la presenza di eventuali malattie concomitanti».


Cos’è il diabete scompensato

Mentre l’esame della glicemia fornisce una fotografia in tempo reale dei valori di glucosio nel sangue e rappresenta quindi un parametro estremamente variabile, anche nell’arco della stessa giornata, l’emoglobina glicata consente di valutare l’andamento medio di quei valori negli ultimi tre mesi.

«Stando alle linee guida nazionali e internazionali, nei diabetici i valori di emoglobina glicata che si mantengono al di sotto del 7% sono indice di un buon controllo della glicemia nel tempo, mentre quelli superiori a 8% indicano uno scompenso. Ma se questa è la teoria, nella pratica l’asticella si può spostare a seconda dell’età del paziente: per esempio, ai soggetti più giovani e privi di altre comorbilità viene spesso proposta una terapia più energica, grazie al minor rischio di effetti collaterali, per cui l’obiettivo si può abbassare a un valore di emoglobina glicata pari o inferiore a 6,5%», racconta il dottor Guglielmi.

«Nei pazienti più fragili oppure anziani, invece, il trattamento non è mai troppo “spinto”, perché esiste un maggiore rischio di sviluppare ipoglicemia, capace di mettere in moto una serie di meccanismi compensatori che possono peggiorare le altre patologie concomitanti, soprattutto a livello cardiovascolare: in questo caso, quindi, si potrebbe accettare un’emoglobina glicata pari a 7,5-8%. Insomma, il range numerico oltre il quale si può parlare di diabete scompensato è molto variabile».


Quali sono le cause del diabete scompensato

A determinare lo scompenso possono contribuire diverse cause. Talvolta può esserci un sotto-dosaggio della terapia farmacologica, che va rivalutata e intensificata, mentre in altri casi c’è una responsabilità diretta del paziente, che scorda di prendere i farmaci, non aderisce correttamente alla dieta oppure non rispetta le prescrizioni legate allo stile di vita (per esempio non pratica attività fisica).

«Altre volte, invece, a scompensare il diabete possono essere particolari condizioni di salute: eventi critici acuti, come un’ischemia cardiaca o altri eventi cardiovascolari, oppure infezioni, magari a carico del tratto respiratorio, addominale oppure urogenitale, che possono rendere la glicemia piuttosto ballerina», avverte l’esperto. «Fra i potenziali responsabili ci sono anche alcuni trattamenti farmacologici, come quelli a base di cortisone: se assunto a basse dosi in forma cronica oppure ad alte dosi anche solo per pochi giorni, questo antinfiammatorio può scompensare il diabete oppure farlo precipitare in un soggetto che era predisposto alla malattia, non ancora manifesta».


Come si diagnostica

Non bastano pochi giorni di glicemia “sballata” per parlare di diabete scompensato. È necessario che questa condizione si protragga per più tempo e venga rilevata dallo specialista durante un normale controllo di routine: «In quell’occasione, è fondamentale effettuare un’anamnesi approfondita per raccogliere tutti i possibili elementi e comprendere il “punto” debole. A questa si possono abbinare degli esami del sangue, stabiliti dopo una visita accurata, per escludere la presenza di problemi sottostanti», specifica il dottor Guglielmi.


Quali sono le possibili conseguenze del diabete scompensato

Alla lunga, un diabete scompensato può danneggiare diversi tessuti del corpo, perché i frequenti sbalzi glicemici possono predisporre allo sviluppo di complicanze microangiopatiche, cioè danni ai vasi sanguigni più piccoli, in particolare quelli di occhi (retinopatia diabetica), reni (nefropatia diabetica) o nervi (neuropatia diabetica), e macroangiopatiche che portano a restringimenti nei vasi più grandi e possono provocare gravi complicazioni come ictus e infarti.

«Teniamo presente che solitamente, prima di arrivare al diabete conclamato, i pazienti affetti da diabete di tipo 2 vivono una condizione di pre-diabete, dove i livelli di zucchero nel sangue sono più alti del normale ma possono restare silenti, anche per anni. Peccato che, alla lunga, quella situazione sia già in grado di arrecare danni sistemici, aumentando soprattutto il rischio di complicanze cardiovascolari».


Come si corregge

A seconda della causa, il diabete scompensato va corretto con appositi aggiustamenti. Se in caso di infezioni o patologie sottostanti vanno ovviamente trattate queste, nei casi di incompleta aderenza del paziente a terapie efficaci ma complesse si potrebbe “semplificare” il trattamento affinché possa essere seguito nel modo giusto: «Oggi, per il diabete di tipo 2, esistono farmaci innovativi che riescono a ridurre drasticamente il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari o malattie renali, perché non si limitano a controllare la glicemia, ma agiscono anche con meccanismi che diminuiscono il rischio di malattia cardiorenale. Non a caso, nei soggetti a rischio, questi farmaci dovrebbero essere utilizzati indipendentemente dal controllo glicemico», spiega l'esperto.

In particolare, si tratta degli inibitori SGLT2 (da assumere per via orale) e degli agonisti del recettore del GLP-1 (da somministrare al momento prevalentemente con iniezione sottocutanea), fra cui lo specialista più scegliere tenendo conto della storia clinica e personale del paziente.

«Alcuni farmaci richiedono una somministrazione settimanale, anziché quotidiana, per cui la semplificazione può favorire l’aderenza terapeutica», conclude il dottor Guglielmi. «Per il diabete di tipo 1, invece, sono arrivati sensori per il monitoraggio continuo della glicemia sempre più performanti, che permettono di valutare meglio il controllo glicemico. Questi possono essere utilizzati in combinazione con microinfusori dalle dimensioni sempre più ridotte, che consentono la realizzazione di qualcosa che si avvicina a un pancreas artificiale.

Ma per ricevere le terapie più adeguate, è fondamentale aderire ai controlli periodici previsti, affinché lo specialista possa riconoscere tempestivamente un eventuale scompenso e correre ai ripari».


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