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L’infarto è anche una malattia genetica: il nuovo studio

Una ricerca americana conferma il ruolo del Dna nell’insorgenza della malattia. Anche in Italia si studia in questa direzione per migliorare la prevenzione e la cura dell’infarto

credits: iStock



Lo stile di vita nella prevenzione contro le patologie cardiovascolari e in particolare infarto e ictus è fondamentale: colesterolo, diabete, fumo e obesità sono fattori di rischio noti. Ma di recente si sta studiando anche la componente genetica, sia per mettere a punto nuovi futuri farmaci, sia per aiutare nella prevenzione delle patologie aterosclerotiche, cioè collegate alla formazione dell’aterosclerosi, le placche che si formano nei vasi sanguigni e che, staccandosi o occludendo il vaso, possono essere causa proprio di ictus e infarto.

Va in questa direzione uno studio americano, condotto dall’Università della Virginia, che ha scoperto alcuni geni collegati all’infarto, mentre dal Centro Cardiologico Monzino arriva una conferma: «Abbiamo individuato alcuni geni intramiocardici correlati al deficit di ferro nello scompenso cardiaco», spiega il professor Piergiuseppe Agostoni dell’Università degli Studi di Milano e Responsabile del Dipartimento di Cardiologia Critica del Centro Cardiologico Monzino.


Lo studio e i geni “responsabili” dell’infarto

Il ruolo del Dna e dunque della predisposizione genetica nell’infarto è studiato da tempo. Ora arriva anche uno studio statunitense, pubblicato sulla rivista Circulation Research, che conferma la componente “genetica” come concausa nell’insorgenza delle malattie aterosclerotiche. Si tratta di quelle patologie causate dalla formazione delle cosiddette “placche” di grasso (aterosclerosi) che, staccandosi dalle pareti dei vasi sanguigni, provocato ictus e infarto. I ricercatori della UVA, University of Virginia, hanno analizzato le cellule di 151 donatori di cuore sani, appartenenti a etnie differenti, studiando in particolare il ruolo dei geni nelle cellule muscolari lisce, cioè quelle che rivestono le arterie.

«Abbiamo scoperto che quasi la metà delle varianti genetiche che aumentano il rischio di malattia coronarica influiscono anche sul comportamento delle cellule muscolari lisce. Ciò implica che dovremmo studiare queste cellule in modo più dettagliato quando si tratta di comprendere il rischio ereditario di malattia coronarica», ha spiegato Rédouane Aherrahrou, nel team di studiosi americani.


L’infarto può essere “ereditario”?

Dagli studi condotti finora, dunque, arriva una conferma sul ruolo della genetica nell’infarto e nelle altre patologie cardiovascolari. Dunque l’infarto ha componente ereditaria? «Anche se il termine ‘ereditario’ va usato con cautela, possiamo sicuramente dire che l’aumento rischio di infarto può essere associato ai fattori già codificati, cioè noti. Mi riferisco a diabete, colesterolo alto, ipertensione, ecc. Questo significa che un domani, se in un soggetto si troverà una familiarità molto forte per l’infarto, occorrerà essere ancora più aggressivi nel tenere sotto controllo i fattori correlati alla malattia, con un monitoraggio dei valori attento e una maggiore severità nel far sì che non si superino le soglie di rischio», spiega il professor Agostoni.


Le altre ricerche genetiche e il ruolo del ferro

A confermare l’importanza delle ricerche genetiche è un’altra scoperta, che arriva proprio dal Centro Cardiologico Monzino: «Anche noi abbiamo effettuato alcuni studi, focalizzandoci sul ferro. Stiamo cercando di identificare, infatti, le alterazioni del metabolismo del ferro in relazione allo scompenso cardiaco», spiega Agostoni. Questo coinvolge i clinici dello scompenso cardiaco, in particolare il gruppo che fa capo alla dottoressa Campodonico, e i ricercatori di scienze di base e in particolare il gruppo che fa capo al dott Poggio. «Già da qualche anno, infatti, nei casi di scompenso cardiaco si prevede la somministrazione in alte dosi di un tipo particolare di ferro, il ferro carbossimaltosio: è una pratica riconosciuta e in atto. La novità, invece, è l’identificazione di un nesso tra il ferro e alcuni geni intramiocardici che regolano il metabolismo del ferro e che, quando sono disfunzionali, sarebbero una delle cause dell’aggravamento dello scompenso cardiaco», prosegue il cardiologo.


Dalla prevenzione ai nuovi farmaci

Naturalmente tutte queste ricerche vanno a sommarsi a quanto già conosciamo sugli altri fattori che concorrono all’insorgenza dell’infarto o dell’ictus, e che riguardano lo stile di vita: «Si tratta principalmente di ipertensione, diabete, fumo, colesterolo alto e quadro lipidico, che sono fondamentali nella prevenzione delle patologie cardiovascolari», conferma Agostoni.

«Gli attuali farmaci che i medici prescrivono lavorano per ridurre i fattori di rischio per le malattie cardiache, come i farmaci per abbassare il colesterolo. Tuttavia, dobbiamo identificare i farmaci che prendono di mira la malattia dove si sviluppa. Ecco perché è importante trovare i geni responsabili dello sviluppo della malattia nelle arterie, perché è lì che si formano le placche», ha spiegato Mete Civelek, ricercatore senior dello studio americano.

Ma quando si potrà disporre di questi farmaci innovativi che agiscono a livello genetico? «È una domanda lontana dall’avere una risposta adesso, i tempi non sono così vicini. A oggi dobbiamo attenerci alle indicazioni di cui disponiamo, quindi lavorare sulla prevenzione e sui fattori di rischio noti. Certo, disponendo di conoscenze genetiche che confermano una predisposizione all’infarto, potremo già nel breve periodo seguire una terapia preventiva che passa da un rigoroso controllo degli altri fattori di rischio, quelli sui quali già adesso possiamo intervenire», conclude l’esperto.


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