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Meglio i farmaci generici o di marca?

Continuiamo a preferire l’aulin alle bustine di nimesulide, l’aspirina all’acido acetilsalicilico. Ma nella maggior parte dei casi i farmaci generici funzionano e non c’è motivo di snobbarli rispetto a quelli griffati. Gli esperti ci spiegano perché

credits: iStock



di Oscar Puntel


In Italia i farmaci generici esistono da vent'anni, ovvero da quando sono scaduti i brevetti sui farmaci originali (l'aspirina o l'aulin) e quindi le case farmaceutiche hanno potuto liberamente riprodurli, immettendo sul mercato le loro copie.

Secondo il rapporto Ocse “Health at Glance 2015”, la loro graduale diffusione è ancora bassa, pur essendo quadruplicata dal 2001: sul totale dei farmaci utilizzati, in Italia, solo il 19% è un generico, contro una media europea del 48%. Assogenerici, l'associazione delle aziende produttrici, ci dice anche che queste medicine senza logo nel 2015 hanno rappresentato il 10,88% della spesa farmaceutica italiana, pari a quasi 1,2 miliardi di euro. Per saperne di più abbiamo fatto alcune domande ai nsotri epserti.


Ci sono differenze tra farmaci generici e di marca?

«Chi sostiene che aulin e nimesulide non sono la stessa cosa dice una sciocchezza», ci spiega Francesco Rossi, professore di farmacologia alla Seconda Università di Napoli. I farmaci generici in realtà si chiamano farmaci equivalenti. «Questo perché», ci spiega il dottor Alessandro Mugelli, presidente della Sif, la Società italiana di farmacologia, «prima di essere autorizzati e commercializzati vengono sottoposti a studi scientifici di bio-equivalenza: significa che si testano dei pazienti sia con il farmaco di marca, sia con il suo gemello no-logo». Se vi è una sovrapposizione dei risultati, si considerano bio-equivalenti. «Nella pratica, si tratta di due farmaci che hanno lo stesso principio attivo, quindi ci dobbiamo aspettare la stessa risposta clinica; possono cambiare alcuni composti chimici aggiunti, che non hanno comunque alcuna azione o conseguenza farmacologica», rimarca Mugelli.

È una logica simile a quella tra farmaci biologici e farmaci biosimilari, utilizzati per alcuni vaccini, per esempio, (anche in questo caso il brevetto farmaceutico è scaduto e ora gradualmente vengono prodotti e resi disponibili per le cure).


E allora perché gli italiani snobbano i farmaci generici?

«Durante una terapia possono subentrare altri fattori, che esulano dalla chimica e hanno a che vedere con il paziente: la risposta a un farmaco non è sempre uguale e può variare anche nello stesso paziente. Prendiamo, per esempio, un anziano, per anni abituato a prendere una certa pastiglia. Se gliela cambiamo con una di differente forma e colore, ma con lo stesso principio attivo (come potrebbe risultare quella di un farmaco generico), si potrebbero notare degli effetti clinici diversi o magari la nuova pillolina, benché chimicamente equivalente all'originale, potrebbe non funzionare allo stesso modo. Insomma, c'è un effetto legato alla “partecipazione” dell'individuo alla sua terapia, ma non alla chimica dei farmaci che assume», dice il professor Rossi.


Si parla anche di effetto nocebo. Che cos'è?

«L'effetto nocebo è l'altro punto della questione», continua Achille Patrizio Caputi, ordinario di Farmacologia, all'Università di Messina. Premessa: i farmaci griffati costano di più rispetto ai farmaci generici o equivalenti, ma è solo una questione di mercato e di prezzi. Si paga il valore del brand, proprio come accade per la moda. L'effetto nocebo si insinua in mezzo alle molecole e condiziona i comportamenti di acquisto delle confezioni di medicinali. «In Italia c'è la convinzione che un farmaco che costa di più funzioni meglio di uno che costa di meno. Il paziente che si vede proporre un farmaco equivalente che costa 20 euro anziché i 100 del “griffato” pensa: costa meno, ha un nome strano... non funziona, non vengo curato bene. E così compra il farmaco che costa di più».


Quanto ci fanno risparmiare i farmaci generici?

Secondo i dati dell'Agenzia italiana del farmaco e della multinazionale IMS/Health, elaborati dal Centro Studi Assogenerici, vi è risparmio medio del 60%, dopo la scadenza del brevetto. Se il sistema sanitario nazionale vuole reggersi economicamente anche un domani, dobbiamo puntare sui farmaci generici, che ci permettono un abbattimento della spesa, come pure i farmaci biosimilari. Costano di meno: quindi lo Stato, che ha in carico la copertura delle spese mediche, risparmia. Tutti soldi che possono essere reinvestiti a favore della ricerca farmacologica. «Quando un farmaco esce di brevetto, nasce la concorrenza che abbatte i prezzi e permette una competitività vera fra le diverse aziende. Più si allarga il mercato dei farmaci generici o equivalenti, più si abbassa il prezzo delle medicine, compreso quelle dei farmaci griffati», conclude il dottor Caputi.

21 marzo 2016

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