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Parassiti intestinali: come si prendono e come si curano

Non è così raro prenderli, soprattutto se si ha un bimbo piccolo o si ama il sushi. Ecco cosa fare in caso di contagio

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Di recente è stata l’attrice americana Kristen Bell a portarli alla ribalta. Ospite di un programma televisivo, ha raccontato di aver preso i vermi contagiata dal figlio piccolo.

«In effetti, anche se non sono così frequenti come nei bambini, i parassiti intestinali possono colpire anche gli adulti», spiega Paolo Usai Satta, gastroenterologo dell’Azienda ospedaliera Giuseppe Brotzu di Cagliari e consigliere nazionale dell’Associazione italiana gastroenterologi ospedalieri.


I rischi se hai un cane o un gatto

«Alcuni vermi degli animali domestici sono trasmissibili all’uomo», spiega la dottoressa Elisabetta Colloca, veterinaria a Roma. «Il più pericoloso è l’Echinococco, un parassita che vive nell’intestino del cane, le cui uova finiscono nelle feci. Se si ingeriscono dei residui, portando per esempio le mani alla bocca dopo aver toccato il pavimento sporco, ci si può contagiare. Stessa modalità di trasmissione anche per gli ascaridi, vermi dei cani le cui larve possono danneggiare gli organi umani. Infine il Dipylidium, che si prende più di rado perché la trasmissione avviene solo con l’ingestione di una pulce del cane o del gatto».

Come difendersi? «Se si ha un cane, basta sottoporlo ogni 6 mesi a una terapia che elimina i vermi. Se si possiede un gatto il problema maggiore è un parassita pericoloso per le donne incinte, il toxoplasma. Per evitare il contagio si deve pulire spesso la lettiera, mai a mani nude».


I rimedi green

«Alcuni oli essenziali a base di erbe possono dare una mano nel combattere le parassitosi», spiega Luca Bertini, medico esperto di cure naturali a Pisa. «Sono molto efficaci i chiodi di garofano, ideali per creare un ambiente ostile ai parassiti intestinali, ma anche l’anice, l’aglio, la menta, l’origano e il timo».

Si prendono per almeno 1-3 mesi, valutando di volta in volta col medico i risultati, finché il problema non è definitivamente risolto.


Per scoprire come si riconoscono e come si eliminano i tipi di parassiti più comuni, sfoglia la gallery!

Giardia: diagnosticarla non è facile

Causa la parassitosi da protozoi più diffusa al mondo. Invisibile a occhio nudo, la giardia si trasmette soltanto per via oro-fecale: si può ingerire mangiando cibo contaminato come frutta e verdura non lavate accuratamente oppure sciacquate con acqua già infestata da uova o larve del parassita.

«Una volta assunta con il cibo, la giardia attraversa l’apparato digerente resistendo anche all’ambiente molto acido dello stomaco, per andare a sistemarsi nel primo tratto dell’intestino: il duodeno», spiega Paolo Usai Satta. Provoca un’infiammazione delle mucose che distrugge i villi intestinali, quei piccoli rilievi fondamentali per favorire l’assorbimento delle sostanze indispensabili alla crescita e alla sopravvivenza delle cellule.

La parassitosi da giardia non dà sintomi precisi, anzi: «Può far pensare a una qualunque infezione virale o batterica, perché si verificano astenia, perdita di peso, disturbi digestivi, carenza di vitamine e ferro. Ma può anche essere confusa con la celiachia, che si caratterizza per lo stesso tipo di danno ai villi», aggiunge Usai Satta.

«Solo qualche volta si verifica il segnale che più deve insospettire, una diarrea che dura diversi giorni. In questo caso il primo passo è l’esame delle feci. Ma spesso non basta, per cui il medico può prescrivere anche una gastroscopia con biopsia: durante l’esame viene cioè prelevata una minuscola porzione di duodeno da esaminare al microscopio».

Eliminare la giardia non è complicato: basta prendere antibiotici specifici per circa 7-10 giorni e il problema si risolve senza ulteriori conseguenze.

Ossiuri: causano un prurito insopportabile

Il responsabile è un parassita che si chiama Enterobius Vermicularis. Più grande della giardia, è visibile a occhio nudo (misura circa mezzo centimetro) sotto forma di filamenti bianchi nelle feci.

Come si prendono gli ossiuri? «Negli adulti è frequente infettarsi attraverso il cibo contaminato con le uova del parassita», precisa il gastroenterologo. «Ma è anche possibile che il contagio avvenga, quando in famiglia c’è un bambino che ne è affetto, se l’adulto entra in contatto con le sue feci».

Gli ossiuri si posizionano di solito nell’ultimo tratto dell’intestino: «Da qui si muovono fino a fuoriuscire dall’ano. Ecco spiegato perché provocano un sintomo tipico, il prurito nella zona perianale e nella vagina, e perché è facile individuarli nelle feci rendendo superfluo anche l’esame parassitologico».

In ogni caso non c’è motivo di preoccuparsi: si tratta di un’infezione che si vince facilmente. L’unico problema da non sottovalutare è la facilità di contagio: nei giorni in cui si è infetti è molto importante fare attenzione all’igiene, usando asciugamani separati, lavando con cura (ad almeno 55 °C) la biancheria e gli indumenti intimi.

Il medico prescrive di solito un farmaco antielmintico, capace di eliminare i vermi intestinali, come il mebendazolo: va preso 2 volte al giorno dopo i pasti per una settimana. Negli ultimi 3 giorni si associano anche lassativi, per facilitare l’eliminazione del parassita. Può essere necessario un secondo ciclo.


Tenia: riconoscerla di solito è facile

È il parassita attorno al quale è nato un famoso falso mito: si diceva che, ingerito intenzionalmente, potesse aiutare a dimagrire “sottraendo” buona parte del cibo ingerito. Ma non è vero.

«Di colore bianco tendente al giallastro, ha una forma piatta che può ricordare un nastro e soprattutto avere dimensioni notevoli, da alcuni centimetri fino a diversi metri di lunghezza», dice il dottor Usai Satta.

Di solito si colloca, arrotolato, tra l’intestino tenue e il colon. Anche in questo caso è il cibo contaminato la fonte dell’infezione. La tenia si prende mangiando carne cruda o non ben cotta, soprattutto quella di maiale, di origine non controllata dal punto di igienico e sanitario. Ma il contagio può accadere anche mangiando frutta o verdura non lavate oppure sciacquate con acqua infetta.

Come si manifesta la parassitosi? «Può essere del tutto asintomatica oppure causare sintomi come nausea, diarrea, dolore addominale e astenia», spiega il nostro esperto. Ma ci si può accorgere di averla contratta anche con i propri occhi, perché non è raro individuarne delle parti nelle feci.

La terapia prevede un antiparassitario specifico come il praziquantel o l’albendazolo per circa 10 giorni, associato a lassativi, ma solo nelle ultime fasi di cura. Viste le “dimensioni” del problema, talvolta è necessario ripetere un secondo ciclo di trattamento.

Anisakis: lo scopri con la gastroscopia

Si è diffuso con il boom del pesce crudo. L’Anisakis è un parassita che può infestare l’apparato digerente di moltissimi pesci e molluschi. E non sono solo le specie esotiche a essere a rischio, ma anche triglie, merluzzi, tonno, alici e salmone.

«Il pesce, se contaminato e mangiato crudo, permette alle larve ingerite di impiantarsi nelle pareti dell’apparato gastrointestinale. E poiché sono in grado di difendersi dai succhi gastrici e hanno una grande capacità perforante, possono causare gravi danni all’organismo: i sintomi vanno da un intenso dolore allo stomaco, seguito da nausea e vomito, fino all’occlusione intestinale», precisa Usai Satta. L’Anisakis è bianco tendente al rosato, ha una forma cilindrica ed è visibile a occhio nudo.

«Predilige il tratto digestivo superiore, ma può sistemarsi ovunque, ancorandosi alla mucosa dell’intestino. Per diagnosticare il problema, il medico può prescrivere una gastroscopia (se sospetta che il parassita sia nel tratto più alto dell’intestino) o una colonscopia (se è in quello finale) durante le quali è anche possibile, contestualmente, eliminare il fastidioso parassita. Una volta tolto, in genere ci si è liberati dell’ospite indesiderato per sempre», conclude il dottor Usai Satta.


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Articolo pubblicato sul n. 16 di Starbene in edicola dal 03/04/2018

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