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Ernia inguinale: da che cosa dipende e come eliminarla

Quando compare, solo il bisturi può eliminarla. Ma oggi l’operazione è veloce e si effettua in day hospital

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È un disturbo molto diffuso: solo negli Stati Uniti si registrano ben 800 mila interventi di ernia inguinale l’anno, in netta prevalenza su pazienti di sesso maschile. Già, perché l’unica cura per questa patologia è quella chirurgica, e per motivi anatomici gli uomini sono i più colpiti, tanto che il rapporto con il gentil sesso è di 8 a 1.

Oggi, però, la diffusione dell’ernia inguinale sta aumentando anche tra le donne: «A facilitarne la comparsa, come succede anche nei maschi, è un indebolimento della parete posteriore del canale inguinale (una struttura naturale scavata nella parete del basso addome). Evento che è più facilmente in agguato in chi soffre di diabete, di malattie del collagene (la fibra costitutiva dei tessuti di rivestimento dell’organismo), in chi ha il vizio del fumo o è in sovrappeso», spiega il professor Antonino Spinelli, responsabile chirurgia colo-rettale di Humanitas, e docente di Humanitas University.

«L’ernia si fa strada quando questa debolezza del canale si combina con un aumento della pressione all’interno dell’addome, cosa che capita per esempio se si pratica un’attività fisica intensa, si ha una tosse cronica, una stipsi ostinata o una magrezza eccessiva. La parete addominale, infatti, perde ulteriormente la sua tenuta e va incontro a un cedimento che permette a grasso e ad anse dell’intestino tenue, che sono i visceri più mobili, di scendere dalla loro sede naturale e di infilarsi nel canale inguinale. A far loro da via d’uscita è la cosiddetta porta erniaria, uno sfiancamento della struttura muscolare che costituisce la parete posteriore del canale inguinale, già indebolita».


DIVENTA SEMPRE PIÙ GRANDE

Una volta che il tratto intestinale è sceso dalla sua naturale postazione, l’ernia diventa visibile: appare come una tumefazione, a volte associata a senso di peso e dolenzia, localizzata nella regione inguinale, con dimensioni che variano a seconda della posizione che si assume.

«Il suo volume aumenta dopo uno sforzo fisico o se si sta in piedi, mentre si riduce quando ci si stende, tanto da dare l’illusione che il disturbo possa risolversi da solo», spiega il professor Spinelli. «In realtà, anche se è una patologia benigna, una volta che si è formata l’ernia non regredisce, ma tende invece ad aumentare progressivamente di “taglia”, andando incontro a complicanze anche serie, come lo strozzamento: capita quando il contenuto dell’ernia è voluminoso e la porta erniaria molto stretta. Il foro d’uscita si trasforma in una sorta di cappio che intrappola il viscere e che, nello stesso tempo, blocca la normale circolazione del sangue dando il via a una ischemia. Questo processo è ancora reversibile, se trattato tempestivamente con un intervento chirurgico. In caso contrario evolve in una necrosi, e quindi nella perdita di vitalità dei tessuti compressi, che richiede necessariamente un intervento di resezione, cioè di asportazione del tratto intestinale coinvolto. Per questo, mai sottovalutare i primi campanelli d’allarme di uno strozzamento: dolore intenso, accompagnato da arrossamento cutaneo della parte coinvolta, e impossibilità di ridurre l’ernia, ovvero di spingerla con una manovra verso l’interno, facendola risalire nella cavità addominale».


OCCORRE ELIMINARLA IN FRETTA

Per evitare rischi di complicanze, però, basta programmare un intervento chirurgico, unica soluzione possibile, e farlo al più presto. L’opzione chirurgica, oggi, è semplice e veloce e viene effettuata in regime di day hospital, ovvero con intervento e dimissioni che si verificano nella stessa giornata. Insomma, ci si rimette in piedi in tempi rapidi e si può tornare altrettanto rapidamente alla propria routine quotidiana.

«Dopo un’anestesia locale, che azzera il dolore senza addormentare il paziente, il chirurgo pratica un’incisione molto piccola all’inguine e, attraverso quella via, provvede a isolare l’ernia e a riposizionarla nell’addome», spiega il professor Spinelli. «Poi procede a rinforzare la “fascia trasversalis” con dei punti di sutura e a posizionare, fissandola con punti o con una colla speciale, una protesi: è una rete di materiale sintetico biocompatibile che contribuisce a rinforzare la parete addominale. Durante i processi di cicatrizzazione, infatti, va a integrarsi con i tessuti circostanti. L’intervento dura meno di un’ora. In caso di ernie bilaterali o recidive, l’operazione può essere effettuata in laparoscopia e quindi sotto la guida di una fibra ottica e con un approccio mininvasivo che prevede 3-4 piccole incisioni chirurgiche che permettono di visualizzare e riparare “dall’interno” la zona di cedimento. In entrambi i casi, i rischi di complicanze sono molto bassi, ma devono essere comunque discussi con il chirurgo prima dell’intervento, durante la procedura obbligatoria del consenso informato. Il dolore post operatorio è limitato ai primi giorni e può essere controllato facilmente con gli antidolorifici».

L’operazione, anche per via laparoscopica, può essere effettuata nei reparti di chirurgia dei maggiori ospedali italiani ed è a carico del Sistema sanitario.


LE REGOLE DELLA CONVALESCENZA

Per ottenere i migliori risultati dall’operazione durante la convalescenza è importante rispettare alcune regole.

Per le tre settimane successive occorre indossare appositi slip contenitivi, che riducono la pressione esercitata sulle suture, ed evitare gli sforzi fisici intensi. Dopo le prime 48 - 72 ore si può ricominciare a svolgere, con gradualità, le attività quotidiane (guidare l’auto o fare una breve passeggiata, per esempio).

Anche la ripresa dello sport deve avvenire a poco a poco (secondo le indicazioni del chirurgo), ma se si opta per il nuoto, sport di media intensità, si può iniziare già dopo 15 giorni.

Per evitare il rischio di recidiva (pari al 13%) e di dover ricorrere a un nuovo intervento, è inoltre importante eliminare i fattori che predispongono alla patologia. Quindi occorre ridurre il peso corporeo, dire addio alle sigarette e praticare regolare attività fisica per rinforzare la muscolatura addominale.


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Articolo pubblicato sul n. 40 di Starbene in edicola dal 18/9/2018

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