hero image

Sclerosi multipla: si punta sulla cladribina

Il nuovo farmaco riesce a ridurre drasticamente la frequenza e l’intensità delle ricadute. Il nostro esperto ci illustra come agisce e le prospettive future

credits: iStock



di Gregorio Grassi

Nuovi dati incoraggianti all’ultimo Congresso della Sin (Società italiana di neurologia), svoltosi alla fine di ottobre. Allo stato attuale della ricerca, la molecola più promettente per la cura della sclerosi multipla si chiama cladribina, testata con successo dalla fine del 2010.

Già impiegata nei centri ospedalieri italiani come terapia sperimentale, ha superato i test di efficacia a lungo termine, riuscendo a ridurre drasticamente la frequenza e l’intensità delle ricadute (le dolorose “crisi” che compaiono dopo periodi di apparente remissione) per due anni, a seguito di un breve ciclo di terapia, limitato a 20 giorni di trattamento orale (compresse) in due anni.


COME AGISCE IL NUOVO FARMACO

«Si tratta di un passo avanti molto importante che apre nuove aspettative in termini di dosaggio, efficacia, tollerabilità e profilo di sicurezza», spiega il professor Giancarlo Comi, direttore della Scuola di specializzazione in neurologia dell’università Vita-Salute dell’ospedale San Raffaele di Milano. «Dal punto di vista farmacologico, la cladribina è un anticorpo monoclonale di ultima generazione, diretto non soltanto contro i linfociti T, tradizionale bersaglio delle terapie anti-sclerosi multipla, ma anche contro i linfociti B, che hanno un ruolo-chiave nella patogenesi della malattia. Anch’essi, infatti, scatenano un processo infiammatorio di origine autoimmune che arriva a distruggere la guaina mielinica che avvolge gli assoni dei neuroni, responsabile di tutti i sintomi della sclerosi multipla, dal dolore alle difficoltà di movimento fino alla progressiva invalidità».

GLI STUDI SULL'EFFICACIA DELLA CLADRIBRINA

Già utilizzata con successo contro i tumori, come farmaco chemioterapico, la cladribrina ha al suo attivo due importanti studi internazionali: Clarity, condotto dal 2010 al 2014, e Onward, effettutato dal 2010 al 2013.
«Da entrambi si evince che è molto efficace nelle fasi iniziali e intermedie della malattia», prosegue il professor Comi. «Perché l’assunto da cui si parte è il seguente: bisogna attaccare la sclerosi quando è debole, non quando è forte e particolarmente aggressiva. Rispetto all'alemtuzumab, altro anticorpo monoclonale diretto contro i linfociti T e B con cui scatta automatico il paragone, ha dimostrato di avere minori effetti collaterali quali mal di testa, rush cutanei, disturbi gastrointestinali e trombocitopenia. Agisce in modo più graduale, ed è quindi indicata quando c’è più “margine di manovra”, rallentando o bloccando la progressione dell’invalidità. Viceversa alemtuzumab, farmaco più “pesante” e con maggiori effetti collaterali, va prescritto quando è necessario sferrare un attacco più energico».

GLI EFFETTI COLLATERALI

Reazioni avverse alla cladribrina? Come tutti gli anticorpi monoclonali indirizzati verso il sistema immunitario, può portare a un fisiologico abbassamento delle difese e a un maggior rischio di contrarre infezioni opportunistiche, come quelle da Herpes Virus.
Si tratta, però, di evenienze abbastanza rare e comunque non così gravi da dover indurre i pazienti arruolati negli studi Clarity e Onward a interrompere la terapia. Tali pazienti hanno apprezzato soprattutto la somministrazione orale (e non per via parenterale o endovenosa) di durata estremamente ridotta rispetto alle altre terapie in uso. «In sintesi, oggi è possibile utilizzare diverse armi contro la malattia, in base al suo stadio e alla risposta soggettiva del paziente», conclude il professor Comi. «Di certo la cladribrina rappresenta un’opzione forte e delicata al tempo stesso».

novembre 2016

Fai la tua domanda ai nostri esperti

leggi anche

Sclerosi multipla: le nuove terapie

Sclerosi multipla: l'importanza della fisioterapia