Ferite superficiali

I medici definiscono ferita ogni “soluzione di continuo” della cute, in pratica ogni interruzione dell’integrità dei tessuti che rivestono il nostro corpo. Le ferite vengono distinte in superficiali o profonde a seconda appunto della loro profondità, ma possono essere classificate anche in base alle caratteristiche dell’agente che le ha provocate: esistono quindi ferite da punta […]



I medici definiscono ferita ogni “soluzione di continuo” della cute, in pratica ogni interruzione dell’integrità dei tessuti che rivestono il nostro corpo. Le ferite vengono distinte in superficiali o profonde a seconda appunto della loro profondità, ma possono essere classificate anche in base alle caratteristiche dell’agente che le ha provocate: esistono quindi ferite da punta (per esempio da chiodo o a pugnale), da taglio (se provocate da un coltello o comunque da una lama che “striscia” sulla pelle), lacerocontuse (quando l’oggetto che provoca la ferita non determina né un foro né un taglio netto, ma agisce per esempio con forze che contemporaneamente schiacciano e lacerano la cute, come nel caso della ferita che si apre in seguito all’urto violento della fronte contro un muro o un’altra superficie liscia e dura).

Nell’ambito delle ferite superficiali un’ulteriore distinzione va fatta tra abrasioni, in cui il danno interessa unicamente gli strati superficiali della pelle, ed escoriazioni, in cui i danni anche se limitati agli strati più esterni della cute si estendono più in profondità, ledendo la cute e il tessuto immediatamente sottostante (la cosiddetta sottocute).


Sanguinamento

I danni provocati da una ferita superficiale sono ovviamente limitati ed escludono in genere condizioni di pericolo per la vita, tuttavia alcune considerazioni sono utili a capire i trattamenti opportuni da attuare per evitare banali ma fastidiose complicazioni. Come primo elemento da considerare vi sono i pericoli correlati all’emorragia, cioè alla fuoriuscita di sangue per lesione dei vasi sanguigni situati nella sede della ferita.

Ricordando la suddivisione dei vasi sanguigni in arteriosi (quelli che portano dal cuore ai tessuti periferici il sangue ossigenato a livello polmonare) e venosi (quelli responsabili del ritorno al cuore del sangue che ha precedentemente ceduto l’ossigeno ai tessuti periferici), si può riconoscere la lesione di un vaso arterioso in quanto provoca la fuoriuscita di sangue rosso vivo, pulsante e con una certa forza, proporzionale al calibro del vaso, mentre la lesione di una vena determina la perdita di sangue di colore più scuro e con un flusso di minore energia. Il sanguinamento venoso proveniente da un vaso sanguigno di piccolo diametro di solito si attenua in pochi minuti, sia per la modesta velocità del flusso sia per l’immediata attivazione, da parte dell’organismo, di processi di coagulazione tali da formare una sorta di tampone fisiologico. Un’emorragia proveniente da un vaso arterioso presenta invece una durata maggiore a causa del flusso più vivace, che quindi rallenta oppure ostacola la normale azione di tamponamento attuata dall’organismo nella sede dell’emorragia (formazione di un trombo).

Il primo evento successivo a una ferita è di solito il sanguinamento, che nelle ferite più superficiali è di norma modesto eccetto quando interessa zone cutanee molto ricche di vasi sanguigni: tutti hanno avuto modo di constatare, per esempio, che una ferita anche piccola al capo o a un labbro sanguina di solito in modo copioso e prolungato.


Cosa fare

Per prima cosa occorre munirsi di un tampone pulito (di garza o cotone, ma anche un fazzoletto o oggetti similari vanno bene) e attuare una compressione decisa e prolungata sulla ferita. In pochi minuti si ottiene l’arresto o comunque una netta limitazione del sanguinamento, e a questo punto si può cercare con calma un materiale più idoneo per medicare la ferita. Nel caso in cui la ferita sia stata provocata da un oggetto palesemente sporco, o se comunque l’infortunio si è verificato in ambiente esterno (dunque potenzialmente inquinato, come capita per strada o in giardino, con terriccio, sassolini ecc.), la cosa migliore da fare, ancor prima di tamponare la ferita, è di lavarla abbondantemente con acqua corrente. Una volta applicato il tampone e mantenuta la compressione sulla ferita, si consiglia di non avere fretta di toglierlo e di evitare di controllare continuamente se il sanguinamento è ancora in atto o no: continuando a mantenere ben compressa la parte ferita, infatti, si determina una chiusura meccanica dei vasi lesionati e il coagulo si forma più rapidamente. Arrestato dunque il sanguinamento, il passo successivo consiste nella disinfezione della ferita, che si effettua con quello che si ha a disposizione: per la cute circostante la ferita si può usare qualsiasi prodotto, evitando però di bagnare direttamente la zona lesa con alcol denaturato o con tintura di iodio (che possono danneggiare i tessuti posti sotto la pelle rallentando il processo di guarigione); i disinfettanti più efficaci sono a base di iodio povidone. La pelle integra si può pulire sfregando anche in modo energico, ma per disinfettare la ferita questa va tamponata senza sfregarla, in modo da non rimuovere il coagulo che si è formato e quindi far riprendere il sanguinamento. Una volta disinfettata la ferita, questa va coperta, possibilmente con materiale sterile, fissandola con cerotti o bende.

L’applicazione, sempre al di sopra della medicazione, di una borsa del ghiaccio (naturale o “sintetico”) favorisce l’arresto delle emorragie di piccola entità e comunque riduce sia la possibilità che la parte interessata (per esempio da una ferita lacero-contusa) si gonfi sia il dolore causato dalla lesione. Nel caso in cui la ferita continui a sanguinare, la compressione sulla ferita dovrà essere mantenuta applicando un tampone sopra la medicazione fino ad arrestare il sanguinamento, in attesa che personale medico o infermieri si prendano cura della situazione: questi potranno in seguito effettuare esami più approfonditi per determinare l’entità delle lesioni (per esempio controllando l’eventuale coinvolgimento di tendini, muscoli, rami nervosi o vasi sanguigni importanti) e decidere se intervenire con semplici suture o ricorrere invece a veri e propri interventi chirurgici. Anche le ferite superficiali apparentemente banali vanno curate, evitandone l’esposizione all’ambiente esterno fino alla chiusura della cute (cicatrizzazione), per evitare infezioni che causerebbero ritardo nella guarigione. Un’infezione (che si riconosce dall’arrossamento dei bordi della ferita, dal gonfiore locale, dal dolore talvolta pulsante che si genera localmente) richiede un controllo da parte del medico in quanto va trattata con l’assunzione di antibiotici o, in alcuni casi (per esempio quando si raccoglie del pus localmente), con manovre di tipo chirurgico.

Ogni ferita, specie se inquinata da terriccio, espone al rischio di contrarre il tetano. È bene quindi informare il proprio medico della situazione e controllare la propria vaccinazione antitetanica.


Cosa non fare

  • Non spaventarsi anche se la ferita, visibilmente superficiale, sanguina abbondantemente
  • Evitare le compressioni “a monte” della ferita con l’applicazione del laccio emostatico, perché non sono efficaci e anzi aumentano il sanguinamento.
  • Nel fissare la medicazione, evitare accuratamente di applicare cerotti stretti intorno a un arto
  • Non lasciare scoperta la ferita prima che la cute sia chiusa: non è vero infatti che “all’aria guarisce più in fretta” [R.M.]