Intervista a Sara Cardin, la regina del karate

Nessun’atleta italiana in questo sport ha mai vinto quanto Sara Cardin. Che è un mix di potenza, determinazione ed eleganza (e non solo sul tatami)



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Un metro e sessantun centimetri di pura dinamite. È Sara Cardin, 32 anni, la karateka più titolata e premiata d’Italia: campionessa mondiale nel 2014, in febbraio di quest’anno a Parigi le è stato persino conferito il K Rosso, ambitissimo premio che incorona il “Best of the Best” del karate mondiale. «Un grande onore», commenta «ora non mi resta che tornare ad allenarmi come si deve (è reduce da un infortunio al ginocchio, n.d.r.) per le qualificazioni alle Olimpiadi di Tokio nel 2020». Per Starbene Sara ha lasciato il tatami e la divisa (è primo caporal maggiore dell’Esercito) in cambio di un set ritagliato su misura (la palestra McFit di viale Fulvio Testi a Milano), così gli ultimi capi di moda fitness hanno preso il posto del solito karategi, il kimono da combattimento. Il suo voto come modella? Un 10 pieno, ma conosciamo meglio questa atleta, muscoli d’acciaio e viso d’angelo.


Sara, descriviti in tre #hashtag.

Il primo: #eleganceofpower, che identifica me e il mio modo di intendere il karate. Eleganza non come apparenza ma come qualità costante nei rapporti personali, nella tecnica di combattimento, nel confronto con le avversarie. Però è importante anche il power, la potenza. Perché l’eleganza non è gracile, ma forte e assoluta. Il secondo: #nevergiveup, cioè non mollare mai ma avere sempre voglia di mettersi in gioco, nello sport come nella vita. Il terzo? #FaiconCalmaMatornaPresto, un mantra che mi ripeto spesso in questa fase post-incidente».


Come hai iniziato con il karate?

«Presto, verso i 7 anni. La mamma ha provato prima con la danza, poi con la ginnastica artistica ma quando è arrivato il turno del karate è stato subito chiaro che era quella la disciplina faceva per me».


È una famiglia di sportivi, la tua?

«Solo il nonno, grande appassionato di bici. La mamma no di certo, papà adora le moto, ma è difficile definirlo uno sportivo nel senso puro».


Come conciliavi scuola e allenamenti?

«Con una fatica incredibile, lo ammetto. Dalla mia ho il fatto di essere una secchiona così, anche se ero spesso assente per gli incontri, non ho mai perso il passo e avevo la media dell’otto. Ma gli ultimi due anni di liceo scientifico sono stati tremendi: il sistema scolastico italiano non incoraggia lo sport, anzi sembra quasi che ti voglia costringere a smettere».


Avresti voluto vivere una vita diversa, un’infanzia e un’adolescenza “normali”?

«No nel modo più assoluto. Adoro il mio sport. Anzi è proprio il karate che mi tiene in equilibrio con me stessa. Se lo avessi abbandonato oggi non sarei quella che sono. Se c’è qualcosa che non va il karate mi fa ritrovare il mio io più profondo».


C’è qualcosa che ti fa paura?

«Solo una: gli incidenti. Che raramente capitano in gara, più spesso (come è successo a me) durante gli allenamenti. Si è meno concentrati e gli attimi di distrazione si pagano cari».


Come si allena la nostra karateka più forte di sempre?

«Con i maschi di categoria superiore, i 60-67 chili, così quando affronto le colleghe dei -55 come me mi sento più sciolta. Se ne prendo dai ragazzi? Le prendono loro. Ma io mi alleno con i praticanti, con i colleghi della Nazionale me la vedrei peggio».


I pregiudizi, nel mondo dello sport, con cui ti sei dovuta confrontare?

«I pregiudizi nei confronti delle donne nel karate ci sono. Ancora oggi mi domandano: ma che sport è? Perché hai scelto un’arte marziale? Chi te lo fa fare di prendere botte? A me non sembra che il karate abbia nociuto alla mia femminilità, anzi. Sul tatami mi piace combattere ma nella vita sono in tutto e per tutto una donna».


E non fossi stata una karateka quale altro sport avresti voluto fare?

«Ginnastica artistica, non ho dubbi. Sembrano due sport lontani ma non lo sono così tanto. Nella prima la tecnica è tutto, il secondo, invece, è molto più mentale. Però in comune hanno tanta coordinazione, scioltezza, potenza, velocità e massima precisione».


La dote che più ha contribuito a farti diventare una campionessa?

«Non una sola, tre: determinazione, concentrazione e voglia di vincere. Ma nel karate è anche importantissimo saper “leggere” l’avversario e saper modulare la propria strategia per fare punto e strappare la vittoria. Quindi aggiungerei anche una quarta dote, la capacità di adattamento».


La vita di ogni atleta è fatta di grandi sacrifici. Quali ti sono pesati di più?

«Tanti. Il karate non è una disciplina “ricca”, così per anni, insieme allo studio, mi sono adattata a fare mille lavoretti per compensare le spese. Anche entrare nell’Esercito non è stato facile. Non arrivavo al limite minimo d’altezza, ho dovuto stringere i denti e mostrare più e più volte il mio valore. Infine aggiungo che mantenere il peso non è uno scherzo. La mia categoria è -55 chili: se prima di una gara la bilancia decide che peso 55 e 1, sono fuori, un rischio che non mi posso permettere».


Quindi segui un regime alimentare?

«No, nessuno in particolare, cerco solo di mangiare in modo nutrizionalmente corretto e bilanciato. Niente alimentazione iperproteica, la dieta mediterranea per me è perfetta. E un dolcino ogni tanto me lo concedo».


A proposito, cucini?

«Sono un vero disastro. Ma per fortuna Paolo è bravissimo così ai fornelli si mette sempre lui».


Paolo (Moretto) è tuo marito, ma anche il tuo allenatore. Come si conciliano le due cose?

«Il karate sta tra di noi 24 ore su 24. Ma con Paolo il rapporto è in continua evoluzione: è stato prima maestro, poi un secondo papà, ora compagno di vita. È il mio punto di riferimento e non solo nello sport».


Qual è il trucco per reggere la tensione di una gara?

«Nessuno. Sento la tensione fino a due giorni prima, poi l’ansia scema e lascia il posto alla concentrazione. Quando infine arrivo al tatami sono concentratissima, non c’è spazio per altre emozioni».


Quali valori ti ha trasmesso il karate?

«L’autocontrollo e il rispetto per l’avversario: due atteggiamenti mentali strettamente collegati tra loro».


Sei una da social?

«Certo, mi divertono molto e posto spesso su Facebook e Instagram. Ho anche ottimi rapporti con i fan. Ogni tanto ho a che fare con un haker o un blando stalker, ma bisogna metterli in conto».


Il tuo prossimo appuntamento agonistico?

«Se la riabilitazione al ginocchio prosegue ottimamente, mi vedrete combattere il 17 maggio a Istanbul per la Premier League. Mi raccomando: tifate tutte per me!».


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Articolo pubblicato nel n° 17 di Starbene in edicola dal 9 aprile 2019



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