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Quando rivelare un segreto e quando custodirlo

Tutti abbiamo dei segreti o siamo a conoscenza di quelli altrui. Custodirli è un’arte che s’impara. Ma a volte può essere utile anche rivelarli. Scopri come valutare quando vale la pena tacere e quando non è necessario

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Il segreto è la barriera, tutta personale, contro il mondo esterno. E nessuno è privo di questa difesa, indispensabile per stare al mondo. Pensa a cosa sarebbe la vita di ciascuno se rendessimo pubblico qualsiasi nostro errore, pregiudizio, imbroglio, abitudine, ambizione, sogno, desiderio e quant’altro ci passa per la testa o ci capita: molto probabilmente, senza la copertura del segreto ci ritroveremmo “nudi” di fronte al giudizio degli altri. E soli e senza affetti.

I segreti, poi, offrono un altro vantaggio: ci rendono liberi di esplorare chi siamo e di scegliere chi vogliamo essere. In un certo senso, ci servono per manipolare la nostra immagine a uso e consumo del pubblico. Una sorta di copertura “sociale”, necessaria a stare sulla scena della vita.


Nascondere i segreti propri e quelli degli altri

Quando vuoi occultare qualcosa di te, in fondo fai una scelta strategica: decidi di mantenerti a galla tra la tua vera natura e una miriade di richieste e pressioni sociali. Nascondere un tassello della tua esistenza, infatti, ti dà potere dal momento che ti serve a garantirti privacy e autonomia d’azione, a proteggere la tua reputazione.

Mentre quando tieni la bocca cucita su una confidenza ricevuta, sei nel campo del pragmatismo relazionale: non dici certe cose che potrebbero danneggiare il prossimo e farlo soffrire, quindi salvaguardi i legami. Di più, li rafforzi, dal momento che avere un segreto in comune con qualcuno è un’esperienza che indubbiamente unisce, che crea una complicità forte.

In entrambe le situazioni, niente viene per caso: resistere alla tentazione di confidarsi e confidare qualcosa di riservato è un’abilità, che come tutte le competenze (dal savoir faire alla capacità d’ascolto) richiede esperienza e un preciso allenamento, fatto di self-control (per resistere alla voglia di spifferare tutto), capacità di capire quando il segreto è in pericolo, conoscenza di trucchi per proteggerlo, come per esempio cambiare discorso.


Tenere un segreto è una responsabilità

«La riservatezza, però, comporta sempre un forte dispendio di energie», avverte Sara Zamperlin, psicologa e psicoterapeuta autrice del blog "Una psicologa davanti allo schermo". «In fondo, genera ansia da prestazione (“ho paura di non farcela a tacere”), sensi di colpa (“forse dovrei dirlo”; “forse sto sbagliando a tacere”) e vergogna (“se lo dicessi, verrei guardata male”)».

In più, l’ultima ricerca dello psicologo Michael Slepian, intitolata The experience of secrecy (“L’esperienza della segretezza”) e pubblicata sul Journal of Personality and Social Psychology, conclude con la tesi che i segreti appesantiscono le nostre giornate.

«Il problema principale di quando tieni nascosto qualcosa è il fatto che la tua mente continui a tornare spontaneamente sulla questione da non rivelare», spiega Slepian. Questo rimuginare non solo peggiora il tuo umore (normalmente, infatti, i segreti sono legati a eventi spiacevoli, a faccende irrisolte che vorresti tanto dimenticare), ma soprattutto incide negativamente sulla percezione della tua autenticità, perché ti rammenta che non stai mostrando veramente chi sei e come sei. Così, conclude l’autore, quando hai un segreto è come se tu fossi gravata da un peso, non solo psicologico ma anche fisico, che rende i tuoi compiti più faticosi e le tue mete più lontane.

Spesso, poi, si nasconde la verità per non dare agli altri un dolore, una preoccupazione». «Il pericolo è di far pensare ipotesi peggiori della realtà», prosegue la dottoressa Zamperlin. «Per esempio, se nascondi a tua madre una visita medica di routine e lei ti cerca per due ore, potrebbe convincersi che hai avuto un incidente. Questo meccanismo viene raccontato – in modo estremo ma efficace – nel film "I sublimi segreti delle Ya-Ya sister" in cui una figlia è tenuta all’oscuro dei problemi psichici della madre e finisce per colpevolizzare se stessa per i comportamenti violenti e irrazionali di quest’ultima».

Siamo sicuri, infine, che custodire un segreto (in famiglia come al lavoro) sia un atto di maturità? Spesso, invece, è un modo per diluire la responsabilità, per non prendere decisioni: stai zitta per non cambiare niente della realtà, per mantenere lo status quo. Trovi un esempio nel romanzo di Chiara Gamberale "Le luci nelle case degli altri" (Mondadori), in cui un gruppo di individui s’accorda per allevare insieme una bambina, per evitare d’indagare chi fra loro sia il padre naturale.

Per ultimo, tra le insidie dell’inconfessato c’è anche il bluff. Dissimuli, dissimuli… e poi, capita che la tua fatica si riveli inutile perché il segreto non era poi così... segreto. «Questo è, per esempio, quel che accade nel film "Segreti di famiglia": un vedovo tenta di nascondere al figlio le ragioni della morte della moglie, le quali – una volta venute alla luce – non sono lontane dalla realtà che il ragazzo aveva osservato con i propri occhi. Una volta svelata, la verità libererà entrambi, padre e figlio dalla finzione», conclude la psicoterapeuta.


Lo dico o non lo dico?

Resta il dilemma: rivelo o no questo segreto? Ovviamente, c’è una bella differenza se la cosa riguarda te o è una confessione ricevuta.

«Nel primo caso, devi chiederti quanto il tuo segreto merita riservatezza», dice la psicoterapeuta. «Magari è irrilevante per gli altri, sei solo tu che vuoi negare la realtà e taci sull’argomento, per paura di soffrire. Allora, datti il tempo necessario e il permesso di riconoscere una situazione scomoda che però devi affrontare. È dura, ma ne vale la pena: smascherando questo tipo di segreti guadagni in consapevolezza, sicurezza e serenità. E i rapporti con gli altri diventano più sinceri, autentici e distesi», consiglia l’esperta.

Come secondo step, valuta con occhi obiettivi il tuo mistero. Quando non t’invade la vita, ci pensi una tantum, tienitelo pure per te. Contro invece “tabù” invadenti e opprimenti, la rivelazione è l’arma migliore. Tu tiri un sospiro di sollievo, e hai in mano nuove prospettive di crescita personale. «Confessarsi significa anche ricevere consigli e, quindi, avere una diversa interpretazione del tuo problema; significa anche far luce su un lato nascosto o debole di te che ti può portare a un maggior sostegno o comprensione da parte degli altri», approfondisce Zamperlin. «Per ultimo, la confessione ti tira fuori da quell’alone di ambiguità che spesso genera sbrigativi e penalizzanti giudizi».

Scegli il confidente giusto. «Tendenzialmente, non c’è cosa che non si possa dire», sostiene la psicoterapeuta. «Bisogna però dirla nel modo giusto e trovare la persona adatta: accogliente, non sprezzante». Insomma, qualcuno che non spifferi l’arcano ad altri, né lo utilizzi per danneggiarti, come invece succede nel thriller "L’amica sbagliata" di Cass Green (Piemme, in uscita il 14 novembre), dove si vede come i segreti pieghino la mente e rovinino le persone.

Sui fatti riservati altrui, invece, la consegna del silenzio paga sempre. «In fondo, una confidenza fatta da qualcuno piace, perché significa che trasmetti fiducia e serietà, che sei tenuta in considerazione, che esiste una relazione profonda tra te e l’interlocutore», chiarisce la psicoterapeuta. «Quindi, è bene non tradire questo credito personale. Però, promettere di custodire il segreto – e poi riuscirci – non è una passeggiata. Infatti, potresti essere tentata di parlare, pur di liberartene. Oppure potrebbe scapparti detto per caso, in un momento in cui sei deconcentrata. «Se vuoi annullare il rischio, opponiti alle confidenze. Non sei obbligata a riceverle, però devi dirlo chiaramente all’inizio della conversazione», spiega Anita E. Kelly dell’Università della Florida nel libro The psychology of secrets. «Forse non ci hai mai fatto caso, ma quando una persona si confida, ti avvisa che sta per esporti una cosa riservata e chiarisce a chi non puoi dirla; tu gli prometti che non lo tradirai; lui fa la sua rivelazione; tu dimostri di aver compreso il segreto. Nella seconda fase hai la possibilità di rifiutare il segreto, senza per questo sentirti in colpa o non all’altezza della relazione».


I segreti che fanno diventare grandi

«A partire dai cinque anni, il bambino capisce che è in possesso di informazioni che gli altri non hanno, a meno che lui non decida di rivelarle, e questo gli dà un piacevole senso di potere», spiegano gli psicologi dell’università di Utrecht (Paesi Bassi) autori dello studio “La segretezza verso i genitori: vantaggi e svantaggi in adolescenza”. «Solitamente, i piccoli mantengono segreti relativi a luoghi, oggetti, animali. Credono che, se li rivelano, perderanno ciò che è “tutto loro”. Questa cospirazione rientra nei primi passi verso la separazione dai genitori e lo sviluppo di un sé autonomo.

I pre-adolescenti hanno più difficoltà a custodire i segreti: percepiscono ancora mamma e papà come onnipotenti, si sentono in colpa se non sono sinceri nei loro confronti e comunque scarseggiano nelle abilità necessarie alla segretezza. Insomma, per loro tacere è un’impresa stressante. Le cose cambiano man mano che crescono: una volta abbandonata del tutto l’idea dell’infallibilità genitoriale e rafforzate le abilità, avere dei segreti è più facile. E questo può aiutare i ragazzi a stabilire dei confini metaforici tra loro e la famiglia, confini importantissimi per diventare emotivamente autonomi».


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Articolo pubblicato sul n. 46 di Starbene in edicola dal 24/10/2017



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