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Essere vanitosi e vantarsi non è sempre un difetto

Pavoneggiarsi non è sempre un “peccato”. La tendenza a esaltare i propri pregi può essere l’anticamera dell’autostima. Basta non cadere negli eccessi

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Tutti siamo vanitosi, anche se in modi e misure diverse. Eppure stentiamo ad ammetterlo, con noi stessi e con gli altri. Infatti, fin da piccoli ci insegnano che la vanità è sinonimo di vuoto interiore e può essere pericolosa.

In realtà, come sintetizza lo scrittore inglese Jerome K. Jerome nel libro I pensieri oziosi di un ozioso, “la vanità è una virtù quanto un vizio. È facile recitare massime contro la sua peccaminosità, ma è una passione che può muovere al bene, non solo al male”. Vediamo allora come si concretizza questa sua ambivalenza e come gestirla al meglio.


I RISCHI DI ESSERE VANITOSI

1. Non si può dipendere dal giudizio altrui per "essere" «La parola vanità deriva dal latino vanus, cioè vuoto, ed è così che il vanitoso si sente, in genere inconsapevolmente», esordisce Laura Paganelli, psicologa psicoterapeuta cognitivo-comportamentale a Milano.

«Come reazione all’inconsistenza, si dedica in modo esasperato alla cura dell’immagine e si mette in mostra evidenziando (o esagerando) i propri lati positivi, in cui rientrano non solo le doti fisiche ma anche quelle intellettuali, i meriti professionali, sportivi, sociali e gli status symbol.

Oggi, poi, grazie al web e ai social network pavoneggiarsi è un gioco da ragazzi, mentre fino a qualche anno fa – quando esistevano solo relazioni vis-à-vis e non virtuali – era piuttosto impegnativo e richiedeva pazienza, preparazione, strategia».

A lungo andare, il riconoscimento, l’ammirazione e le lodi ricercate e ottenute dal vanitoso per riempire il vuoto interiore lo portano a convincersi che “piace, quindi è”. «Questo ragionamento, alla lunga, è disfunzionale perché non si può dipendere dal giudizio altrui per sapere chi sono», avverte l’esperta.


2. La solitudine Se il vanitoso è bravo ad attrarre nuove conoscenze, dal momento che sa creare interesse attorno a sé, in genere non è altrettanto capace di tramutarle in relazioni durevoli. «Infatti, credendo di essere speciale e dunque “predestinato” a stare al centro di tutto, non considera il prossimo come suo pari, non gli presta attenzione ma lo relega a semplice sfondo, spettatore o strumento per l’auto-esaltazione», conferma la dottoressa Paganelli. Non c’è da stupirsi, allora, che si ritrovi pieno di “contatti”, ma fondamentalmente solo».


GLI ASPETTI POSITIVI

1. Sprona a volersi bene La vanità, quando è vissuta in modo consapevole e, al medesimo tempo, con leggerezza – induce a prendersi cura di sé e motiva a seguire abitudini benefiche. «Diversi studi statunitensi di psicologia della salute hanno dimostrato che le persone abbandonano le sigarette più volentieri quando vedono le conseguenze estetiche del fumo, per esempio denti ingialliti, occhiaie, pelle spenta», illustra la psicologa.

«Paradossalmente, rimangono meno colpite quando si parla dei danni alla salute. Lo stesso avviene per le creme protettive solari: apprendere che aiutano a prevenire il melanoma non convince a usarle tanto quanto osservare le rughe di chi non le ha mai messe».

Il consiglio pratico Abbiamo necessità di motivare noi stessi e chi ci sta a cuore a modificare stile di vita o, semplicemente, ad abbandonare una consuetudine dannosa? Più che ragionare e riflettere, conviene solleticare la vanità. Basta poco, per esempio una fotografia ritoccata ad hoc al computer, per far scattare la voglia di impegnarsi a cambiare (“Ma guarda come starei bene con qualche chilo in meno! Da domani stop agli spuntini di mezzanotte”).


2. Rende più sicuri e forti Visto così, assecondare la vanità facendo qualcosa per piacersi di più non è un gesto superficiale, ma la scintilla che può innescare una trasformazione in due step: innanzitutto permette di migliorare la salute, la qualità della vita e il senso di sicurezza (primo step). Di conseguenza, fa sentire meno ansiosi, stressati, depressi, legati all’approvazione del prossimo (secondo step).

Il consiglio pratico «Occuparci di noi non è sempre facile, soprattutto se il giudice interiore – quella vocina che rimarca i lati negativi ed esagera i difetti – ci accusa di essere egoisti», spiega l’esperta. «se non riusciamo a zittirlo e sentiamo che i sensi di colpa ci intralciano, forse abbiamo bisogno del sostegno di uno specialista. in questi casi la terapia cognitivo-comportamentale dà ottimi risultati».


3. Favorisce le relazioni Una volta rinfrancati, non si ha motivo di essere auto-centrati e ci si può aprire agli altri mettendo a loro disposizione le doti e le capacità per cui si va fieri di sé. «In pratica, lo stesso amor proprio, coltivato non in modo miope ma come rampa di lancio verso il mondo, aiuta a evitare la trappola dell’autocompiacimento, ovvero del narcisismo», esplicita la psicologa.

Il consiglio pratico Considerando i bisogni di chi ci circonda avremo la chance di sperimentare emozioni positive e sentimenti durevoli (spontaneità, senso di efficacia, soddisfazione per la gratitudine altrui...), che colmano il vuoto interiore molto più dei complimenti e del sentirsi al centro dell’attenzione.


IL NOSTRO CERVELLO È FATTO PER PIACERCI

Secondo Cordelia Fine, docente universitaria di psicologia e filosofia, siamo pieni di noi stessi perché il nostro cervello, strutturalmente, lo è. Una delle sue missioni, infatti, è proteggerci da verità indesiderabili che ci riguardano e lo strumento perfetto per compierla è proprio la vanità.

In pratica, il cervello vanitoso sminuisce i nostri difetti e sopravvaluta i nostri pregi, così che non ci buttiamo troppo giù e abbiamo la sicurezza – o l’incoscienza – di affrontare sia la quotidianità sia le imprese al di là della nostra portata, grazie alle quali riusciamo a crescere e progredire.

La professoressa Fine lo spiega nel saggio Gli inganni della mente (Mondadori), dove dice pure che la vanità consente alla maggior parte delle persone (depressi a parte) di reputarsi migliori degli altri per virtù e abilità. E se qualcuno ammette le sue falle in un ambito particolare (“Sono una frana nel disegno”, “Non ho pazienza”), in automatico ne ridimensiona l’importanza (“Saper disegnare bene non serve a nulla, nella vita di tutti i giorni”, “La pazienza è la virtù dei deboli”).

Un altro esempio degli effetti del cervello vanitoso: se qualcosa va male, crediamo che non sia colpa nostra ma delle circostanze. E se qualcosa va bene, le circostanze non c’entrano per nulla: è solo merito nostro.


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Articolo pubblicato sul n. 5 di Starbene in edicola dal 16/01/2018



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