Storia vera: “Corro anche se ho una gamba sola”

Amputata alla nascita, Fiamma è una grande sportiva. Il suo segreto per vincere le sfide? Condividerle con parenti e amici




187978La sua sfida più recente è stata l’edizione speciale della Vertikal Punta Marin, una gara di corsa sulle alture sopra Genova. Un trail per runner più che esperti: 6 km di salita tra sassi, dirupi e scoscese, per 897 m di dislivello e con un tratto finale dove è necessario usare anche le mani per mantenere l’equilibrio.

“Speciale” perché si trattava della Zero Vertikal Experience aperta agli amputati. Venti i partecipanti e tra loro anche lei, Fiamma Cocchi, amputata sopra il ginocchio dalla nascita a causa di una malformazione dell’arto.

«Alla partenza ero quella con la situazione fisica più complessa», racconta la nostra protagonista, «ma non ero informata sul percorso e, ignorando cosa mi aspettasse, ero serena. Anche perché avevo con me mio papà, con cui volevo vivere quell’avventura davvero particolare».


Ha scoperto il trekking “da grande”

40 anni, fiorentina, psicologa specializzata in dipendenze, Fiamma è una donna che punta dritta ai suoi obiettivi con una costante voglia di migliorarsi e di condividere le esperienze («perché valgono doppio se affrontate con gli amici»).

E con una passione per lo sport che viene da lontano, anche se gli inizi non sono stati entusiasmanti: «A 3 anni sono entrata in piscina e ho praticato il nuoto sino a 17 anni. Era l’unica attività fisica che all’epoca mi proponessero, la più facile da gestire. Ma mi annoiava, tanto», ricorda.

Più grande, per un lungo periodo si è dedicata solo alla vela e solo in estate, finché nel 2013 ha incontrato Roberto Bruzzone, un ragazzo amputato che organizza corsi e vacanze sportive per chi usa la protesi. «L’esordio è stato a Bologna, con un camp che proponeva allenamento in palestra, trekking sulle colline alle spalle della città e nuoto defaticante nel pomeriggio. Un’esperienza che ho poi ripetuto nel corso di questi anni: 3-5 giorni, da vivere insieme intensamente, per prendere confidenza con le camminate sui terreni più sconnessi, impervi», racconta Fiamma.

«Dalle colline siamo passati alla montagna, migliorando le capacità di gestione del corpo nello spazio, il fiato, la forza, l’equilibrio. Lavorando sul campo e in palestra. Eravamo più o meno sempre gli stessi, perciò è stato facile fare gruppo, sostenendoci l’un l’altro e sdrammatizzando con una risata i momenti difficili. Un passo alla volta siamo diventati veri amici: pazzi entusiasti che si rivedono anche solo per i camp, ma ritrovano subito il loro spirito di fratellanza. E che considerano il loro handicap più una caratteristica che un problema».


La vertikal, una prova durissima

Così, forte di questa esperienza, Fiamma ha deciso di accettare l’invito degli organizzatori della Zero Vertikal. «Era un’opportunità per una nuova esperienza e poi si svolgeva vicino a Genova, la città d’origine del mio babbo. C’era stato da poco il crollo del ponte Morandi, mi sembrava un’occasione anche per essere solidale con gli abitanti della città e per coinvolgere papà in quest’avventura. Con lui, che mi ha sempre sostenuto e motivato, mi sento al sicuro. E poi è un appassionato di sport da sempre: sapevo che sarebbe stato contento di condividere quest’avventura».

La gara si è rivelata una prova super-impegnativa per molti partecipanti. Durissima, non ha fatto sconti neppure a Fiamma, che così la ricorda: «Non avevo punti di riferimento, l’arrivo sembrava sempre lontanissimo e il percorso sempre più scosceso, dissestato. Per fortuna insieme a noi c’era Vera, una runner del team degli organizzatori. Una persona grintosa, fortissima, che mi ha motivato soprattutto nei momenti difficili, parlandomi in continuazione. Tanto da mentirmi sulla presenza di un fantomatico rifugio dove mi sarei potuta concedere una cioccolata calda per riprendermi dalle folate di vento gelido che ci sferzavano... Dopo 4 ore di fatica pura, la soddisfazione di raggiungere la bandierina del traguardo è stata infinita. Ero strafelice e commossa».


La soddisfazione è impagabile

La difficoltà più grande? «Rimanere sempre concentrata, focalizzata sull’appoggio dei piedi», risponde senza esitare la nostra protagonista. «Per non rischiare un cedimento del ginocchio, avevo indossato la protesi con l’articolazione rigida, quindi il cammino era più faticoso. E non sono riuscita a godermi nemmeno un panorama: avevo infatti occhi solo per le rocce sui cui appoggiavo i piedi per evitare di cadere e farmi male».

Un sacrificio ripagato durante la premiazione dalle lacrime dell’amica, incredula che Fiamma ce l’avesse fatta, e dall’abbraccio infinito del papà. «Oltre che dalla consapevolezza di aver compiuto qualcosa di quasi incredibile. Mentre scendevo a valle, con la jeep, mi pareva impossibile di essere riuscita a superare quel dislivello e per di più su un fondo del genere».


Adesso è il momento del surf

Conquistata la vetta, Fiamma è ora attratta dal mare. «Da due anni mi sto cimentando in estate con il windsurf, sport difficile ma meraviglioso. Richiede un buon controllo del corpo, così come forza e coordinazione, oltre che massima attenzione: devo sempre prevenire le cadute, in ogni contesto, perché sbattere con la protesi contro la tavola potrebbe darmi problemi non secondari».

E dopo questa scoperta, Fiamma sta per farsi coinvolgere in una nuova sfida in acqua: «Una mia amica ha provato, a Marina di Pisa, il surf da onda e vuole ritornare a praticarlo insieme a me. Quindi questo sarà uno degli obiettivi della prossima estate: il mare mi piace, c’è la compagnia giusta, lo sport outdoor è una delle mie passioni e mi sto allenando almeno 2 o 3 volte alla settimana per arrivarci con la giusta forma. Come sempre, ci metterò il massimo dell’impegno, ma senza stress. Anche perché movimento e natura possono solo ricaricarmi di energie positive», conclude con un sorriso.



CORSI DAVVERO SPECIALI

Fiamma ha scoperto il mondo dello sport outdoor grazie a Roberto Bruzzone e ai suoi corsi per amputati, proposti in collaborazione con la Otto Bock, un’azienda bolognese leader nella costruzione di protesi. Si tratta di camp della durata di 3/5 giorni in cui ogni partecipante viene aiutato a capire come regolare i passi durante i trekking, come affrontare le salite più impervie e i tratti più scoscesi, vincendo la paura.

«Li consiglio vivamente a chi ha un problema come il mio, perché ti fanno imparare tanti piccoli e grandi “trucchi” e, soprattutto, ti trasmettono uno spirito positivo e di grande collaborazione. Così si diventa più indipendenti, ma si cresce anche umanamente», afferma la protagonista della nostra storia.

Per conoscere le attività proposte da Roberto Buzzone, 39 anni, da 8 amputato a causa di un incidente in moto e da allora appassionato di scalate e grandi trekking, è possibile consultare il sito robydamatti.it.



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Articolo pubblicato nel n° 12 di Starbene in edicola dal 5 marzo 2019

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