Salute: le cure salvavita

Per alcune patologie è basilare assumere un farmaco ogni giorno. Scopri cosa rischi se rinunci



di Ida Macchi

Ogni anno, circa il 45% dei 4 milioni e mezzo di italiani ai quali viene prescritta una cura contro l’ipertensione, non la segue. La percentuale cresce (quasi il 57%) tra chi deve prendere farmaci per ipercolesterolemia, depressione, osteoporosi o bronchite cronica.

Insomma, milioni di persone, pur avendo una malattia cronica, rinunciano a curarsi: è quanto emerge dall'ultimo rapporto Osmed sul consumo farmaceutico nel nostro Paese, stilato dall'Aifa. Dati preoccupanti, perché quando una malattia è cronica, buttare via i farmaci, o aggiustare le terapie col fai da te, è davvero rischioso. Scopri, nelle prossime pagine, i pericoli legati alle patologie più diffuse.


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Colesterolo e pressione alta


Guai a buttare i farmaci alle ortiche se si soffre di ipertensione e si ha la pressione sanguigna troppo alta, o in caso di dislipidemia (alte concentrazioni di grassi nel sangue), con il colesterolo che supera i fatidici 200 ml/dl di sangue.


«A fare le spese della sospensione delle cure sono le arterie del cuore (le coronarie), del cervello, del rene e degli arti, perché le due malattie aumentano i rischi di aterosclerosi, ovvero l’indurimento dei vasi sanguigni e la formazione al loro interno di placche che ne provocano la rottura, o che bloccano la circolazione, o che danno origine a trombi/emboli. Risultato: maggior incidenza di trombosi, ictus e infarto», spiega il dottor Paolo Pizzinelli, cardiologo e internista.


«Questi rischi sono spesso sottovalutati, anche perché i farmaci impiegati per abbassare la pressione (gli antipertensivi), o quelli per tenere a bada il colesterolo (le statine, tra i più prescritti) danno i risultati voluti, spesso in tempi brevi. E allora si ha l’illusione di esser guariti. Non è così. Senza farmaci, il grasso dannoso per le arterie si innalza di nuovo, mentre la pressione è destinata ad avere una nuova fase di accelerazione: a volte nel giro di poche ore, altre volte nel giro di giorni o mesi.


Un rischio che non vale la pena di correre perché le cure, oltre a essere super sperimentate e sicure, garantiscono un ritorno certo sulla salute: con le statine, il colesterolo cattivo (l’LDL) si abbassa di almeno il 40%, riducendo il rischio di problemi cardiovascolari del 22%. Usare con costanza gli antipertensivi, invece, riduce i pericoli in agguato per cuore e circolazione del 37%».

Broncopneumopatie croniche ostruttive

 

È il fronte su cui l’abbandono è più alto: smette di curarsi l’86,1%del milione e 300 mila di italiani che soffre di Bpco. Queste malattie, prima tra tutte la bronchite cronica, innescano una parziale ostruzione delle vie respiratorie che, infiammate, si riducono di calibro, impedendo così il normale passaggio dell’aria.


«Non sempre però (soprattutto nelle fasi iniziali della malattia) provocano quella mancanza di fiato, anche solo facendo le scale, che renderebbe spontanea l’aderenza alle cure», sottolinea il dottor Pizzinelli. «E così, gli spray al cortisone che riducono l’infiammazione, o quelli a base di Beta 2 agonisti che facilitano la distensione dei muscoli bronchiali, finiscono per non essere usati con costanza. Un errore: la costrizione dei bronchi, anche se non viene percepita, è un processo che non si ferma, ma progredisce e con il tempo diventa irreversibile e quindi più difficile da curare.


Non solo: la riduzione di passaggio d’aria nelle vie respiratorie a lungo termine mette sotto stress anche il cuore (la sua parte destra, in particolare), perché modifica la circolazione del sangue nei polmoni. Insomma, un doppio rischio che viene invece tenuto a bada dai farmaci, per altro sicuri e con minimi effetti collaterali: i cortisonici, in particolare, non vengono assorbiti e agiscono solo sulle mucose delle vie aeree, senza influenzare il resto dell'organismo».

Osteoporosi


In Italia sono 330 mila i pazienti in terapia, ma il 53,2% dice addio alle cure. «Nulla di strano: l’osteoporosi è una malattia silente che intacca la massa ossea, spesso senza dare alcun disturbo evidente. Per di più, tra una Moc e l’altra, passano 12-18 mesi e non ci si rende conto subito che, con le cure, lo scheletro effettivamente si fortifica», sottolinea il dottor Andrea Giustino, professore ordinario di endocrinologia all’Università di Brescia.


«Così, è facile dire addio ai bifosfonati, i farmaci più impiegati per l’osteoporosi, senza valutare il fatto che riducono del 50% il rischio di fratture, uno degli effetti più temibili della malattia.


A pesare sulla mancata aderenza alla terapia, ci sono anche gli effetti collaterali dei medicinali (possono provocare disturbi di stomaco) e la necessità di assunzione quotidiana. Oggi, però, esistono nuove soluzioni: formulazioni effervescenti che non disturbano  le vie digestive e un farmaco somministrabile con due sole iniezioni l’anno. È il denosumab, un anticorpo monoclonale che non dà effetti collaterali e, oltre a bloccare la perdita di massa ossea, ne facilita la rigenerazione».

Depressione


Gli italiani depressi sono un milione, ma il 61% smette le terapie. I motivi: «Ci vogliono almeno 4-6 settimane prima che gli antidepressivi diano benefici e questo fa ingiustamente sospettare che non funzionino», spiega il dottor Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento Neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano.


«Quel che pesa di più sull’abbandono sono però gli effetti collaterali (aumento di peso, calo della libido, difficoltà a raggiungere l’orgasmo) e, soprattutto, la durata delle cure: almeno un anno, dopo un primo episodio di depressione. Così, non appena l’umore torna a colorarsi di rosa, gli antidepressivi finiscono nel cestino dei rifiuti.


In realtà, la probabilità di avere un secondo episodio è del 50% e, se succede, aumenta la fragilità del sistema nervoso centrale. Con l’abbandono della terapia la depressione rischia di diventare un disturbo cronico, sempre più difficile da curare.


Il consiglio, perciò, è quello di valutare con il proprio medico come risolvere eventuali effetti collaterali che rendono meno facile l’aderenza alle cure: poche norme dietetiche e un po’ di attività fisica (per altro benefica anche per l’umore) possono evitare l'aumento di peso, mentre la messa a punto di un dosaggio ad hoc (che preveda la sospensione degli antidepressivi durante il week end, per esempio) consente di riaccendere la passione e la vitalità anche sotto le lenzuola».

No al fai da te nei disturbi acuti


Anche quando le malattie non sono croniche, è bene aderire alla lettera alle cure. «Se butti il blister degli antibiotici prima di quanto stabilito dal medico, per esempio, il farmaco non mantiene per un tempo sufficiente la concentrazione nel sangue necessaria a eliminare del tutto i germi e l’infezione può riproporsi a breve distanza», spiega il dottor Roberto Palmieri, presidente della Scuola italiana di formazione e ricerca in medicina di famiglia.

«Rischi in agguato anche in caso di  stop durante una terapia per il reflusso gastroesofageo: per un effetto rebound, gli acidi digestivi aumentano e con loro i bruciori. No infine a tardare troppo ad assumere un farmaco per l'emicrania: se il dolore non viene stroncato può diventare costante per le successive 72 ore.


Per evitare errori di percorso o interruzioni a rischio, occorre fidarsi del medico e chiedere al farmacista il nome delle molecole del medicinale, così da riconoscerlo per ciò che contiene (in questo, l’utilizzo dei farmaci equivalenti è di grande aiuto). All'estero, per esempio, te lo puoi procurare facilmente, perché conosci il nome del principio attivo».

Articolo pubblicato sul n. 43 di Starbene in edicola dal 13/10/2015


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