Test del Dna fetale e amniocentesi: le differenze

Conoscere il test del Dna fetale aiuta le donne in gravidanza



Il test del Dna fetale è un esame per la diagnosi prenatale relativamente recente. Strumento prezioso per verificare se il feto è affetto da patologie cromosomiche, in particolare la sindrome di Down, si effettua grazie a un semplice prelievo. Tuttavia, la confusione sull'argomento oggi è ancora molta: ecco perché abbiamo chiesto al dr. Leonardo Caforio dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma di aiutarci a fare chiarezza per comprendere meglio questo test incoraggiando le coppie in dolce attesa verso una scelta consapevole. Al momento non è ancora possibile, ma possiamo pensare e sperare la possibilità che nel futuro l'amniocentesi venga completamente sostituita da questo test non invasivo

Il test del DNA fetale nel sangue materno si esegue fra la 12esima e la 14esima settimana di gravidanza. L'esame non è invasivo e consiste in un semplice prelievo di sangue alla futura mamma, allo scopo di verificare la presenza di patologie cromosomiche.

L'esame del DNA fetale è un'alternativa all'amniocentesi?

«No, non possiamo definire l'esame del dna fetale su sangue materno un'alternativa all'amniocentesi. Purtroppo questo è uno degli equivoci che si verificano ancora oggi, con molta frequenza, e che mettono in difficoltà noi medici quando dobbiamo spiegare alle coppie e le mamme future il significato di questo test». 

Qual è la differenza del test del DNA fetale rispetto all'amniocentesi?

«Attualmente questo screening non può essere considerato un'alternativa all'amniocentesi, perché il risultato del test non è paragonabile in termini di accuratezza e affidabilità. Questo è un primo punto fondamentale. Mentre l'amniocentesi consente di avere un risultato certo sulla presenza o l'assenza di alcune anomalie cromosomiche, in particolare la sindrome di Down, le anomalie dei cromosomi 13, 18 e i cromosomi sessuali x y, il test sul sangue materno per la ricerca del DNA fetale ci dà una risposta con un'approssimazione molto elevata. La risposta è precisa al 99,99% nel caso della sindrome di Down: lo è meno per anomalie dei cromosomi sessuali x y, dove affidabilità e accuratezza arrivano al 95%. C'è una zona grigia che il test non riesce a coprire del tutto, per cui non è possibile considerare il test alla stregua dell'amniocentesi». 

«L'aspetto importante di questa relativamente nuova metodica è che i medici sono chiamati ad un'opera molto accurata di counseling, cioè devono essere molto bravi nello spiegare esattamente il significato, i limiti e le finalità del test: questo è un presupposto importantissimo» spiega il dr Leonardo Caforio.

Quali sono i vantaggi offerti dal test?

«Il primo e il più importante è la totale assenza di rischio, perché si tratta di un prelievo di sangue venoso. Se ci chiediamo quanto questa indagine sia sicura dal punto di vista del rischio, possiamo affermare che è totalmente sicura: non ci sono rischi, non più di quelli che una donna corre quando va a fare l'emocromo o il prelievo per il toxotest. L'altro vantaggio è rappresentato dal fatto che l'esame può essere eseguito ben più precocemente rispetto un'amniocentesi, perché solitamente noi consigliamo di farlo a partire dalla decima - 11esima settimana di gravidanza».

Quando si hanno i risultati?

«Normalmente i laboratori che offrono la possibilità di fare questo test in Italia danno una risposta entro una settimana circa dal prelievo. Questo vuol dire che una coppia che fa il test a undici settimane, alla dodicesima settimana più qualche giorno al massimo ha il risultato. Normalmente, invece, l'amniocentesi non viene fatta prima della 16esima settimana: abbiamo poi un risultato provvisorio entro pochi giorni dall'amniocentesi, tre o quattro, ma il risultato definitivo arriva entro due, talvolta anche tre settimane. Quindi chi fa l'amniocentesi ha un risultato finale non prima delle 17- 18 settimane, e questa è un'altra differenza molto importante».

Oggi quali sono i limiti di questo esame?

«Attualmente il limite fondamentale riguarda l'accuratezza dei risultati. Per quanto riguarda la sindrome di Down il margine di errore è effettivamente molto basso, infatti il rischio di errore è inferiore a 1 su 10mila. Questo soprattutto se parliamo del cosiddetto falso negativo, ovvero un test che dà un responso negativo cioè normale, quando invece il feto è affetto dalla patologia che stiamo cercando: si tratta di un risultato molto sconveniente, perché si è rassicurati dal test salvo poi scoprire alla nascita che il bimbo aveva la malattia per la quale si era eseguito l'esame. Tuttavia, questo errore si verifica per una percentuale di casi inferiore a 1 su 10mila. L'altro possibile errore è il contrario, ovvero il falso positivo, cioè la possibilità che il test dia un risultato positivo, ovvero indichi la presenza della malattia quando poi invece il feto è sano. In questo caso, però, si attiva immediatamente una rete di salvataggio, in quanto di fronte a un test positivo, cioè alterato, la coppia viene inviata verso l'amniocentesi di conferma, il che ci dà la misura, ancora una volta, che al momento l'unico test realmente certo rimane l'amniocentesi».

Oggi c'è ancora molta paura verso l'amniocentesi: i timori sono reali?

«Statisticamente parlando sono più i timori pregiudiziali, preconcetti basati sull'idea e il sentito dire, che possono creare stati d'ansia e di paura nelle donne, però purtroppo i numeri sono reali nel senso che quando diciamo che il rischio di interruzione di gravidanza post amniocentesi è dello 0,1 - 0,2 % stiamo parlando di numeri che si traducono in persone vere e proprie, in casi. Tuttavia, i numeri parlano di percentuali molto basse. Bisogna sempre fare un discorso in termini di rischio-beneficio, cioè il rischio che per una donna può sembrare molto alto, e quindi può non valere la pena di correre, per un'altra donna invece può essere un rischio accettabile di fronte, per esempio, a dei fattori di rischio familiari o nel caso di ecografie che hanno evidenziato dei marcatori di rischio» .

Secondo la sua esperienza sarebbe importante conoscere di più questo esame e, in futuro, includerlo come parte del protocollo di routine, soprattutto nella fase iniziale di una gravidanza?

«Assolutamente. Questo test dovrebbe essere considerato un esame di screening molto perfezionato. Oggi esiste un esame di screening già molto accurato che è il bitest, o test combinato, un insieme di prelievo di sangue materno ed ecografia che si effettua intorno alla 11esima - 14esima settimana di gestazione. Questo è un test che ci dà una misura del rischio, cioè esegue un calcolo delle probabilità che una donna possa avere un feto affetto, per esempio, dalla sindrome di Down, dunque dà una stima probabilistica, decisamente meno rispetto un risultato attendibile affidabile. Il test del DNA fetale su sangue materno andrebbe considerato alla stregua di un test di screening estremamente perfezionato, quindi molto più accurato di quanto non sia il bitest e come tale andrebbe proposto a tutte le donne in gravidanza».

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