Febbre: non sempre la causa è riconoscibile

La febbre, soprattutto se compare in un bambino, può spaventare: per 20 bambini su 100, non se ne conosce la causa



La febbre è un sintomo, un segnale mandato dall’organismo per dire che c’è qualcosa che non va. Quando arriva, soprattutto in campo pediatrico, spaventa moltissimo i genitori e nonostante gli esperti avvertano di non abbassarla se non al di sopra di determinate soglie e se il bambino appare particolarmente sofferente, sono in molti i genitori che ricorrono presto ai farmaci o ad altri rimedi.

Per 20 bambini su 100 in ogni caso non si è grado di stabilire l’origine del rialzo febbrile.


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Soprattutto durante i primi tre anni di vita del bambino, gli episodi febbrili sono piuttosto frequenti e hanno generalmente una causa abbastanza riconoscibile, come le infezioni respiratorie o intestinali.

Uno studio condotto presso il Policlinico di Milano però, ha evidenziato come in circa il 20% dei piccoli pazienti il rialzo febbrile non trovi spiegazione neppure in seguito ad un’anamnesi accurata e ad una valutazione meticolosa dei dati obiettivi.

Sono proprio questi i casi da non sottovalutare, poiché mentre la febbre sparisce curando l’infezione respiratoria se questa ne è la causa per esempio, la febbre può ricomparire anche con una certa periodicità quando non se ne individua la causa.

In questi casi si parla di FUO (Fever of Unknown Origin) ovvero di febbre di origine sconosciuta caratterizzata da un rialzo febbrile superiore ai 37,9° che può persistere, senza apparente spiegazione, anche per settimane. Tale condizione può nascondere infezioni o la presenza di malattie autoinfiammatorie o autoimmuni come la malattia di Kawasaki.

Nello specifico, la malattia di Kawasaki è una vasculite sistemica che compare nell’80% dei casi nei neonati e nei bambini con meno di cinque anni, con una leggera preferenza del sesso maschile.

Questo disturbo si caratterizza per la presenza di febbre apparentemente di origine sconosciuta per più di cinque giorni e si accompagna generalmente a iperemia congiuntivale bilaterale non secretiva, alterazioni delle labbra e della mucosa orale, anomalie delle estremità, eruzioni cutanee e ingrossamento dei linfonodi cervicali.

Una mancata diagnosi tempestiva di tale condizione, come complicanza più temibile, conduce alla possibile formazione di aneurismi coronarici: un trattamento immediato entro il decimo giorno di esordio della febbre con immunoglobuline determina una sensibile riduzione di tale complicanza.

L’insorgenza di complicanze vascolari può determinare la necessità di monitorare le condizioni cardiache del paziente anche per anni.

Come spiega la dottoressa Susanna Esposito, Direttore dell’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano e Presidente WAidid, Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici, «una tempestiva diagnosi dei casi di FUO è fondamentale per individuare la terapia più adeguata e per evitare ciò che era la regola fino ad un decennio fa, quando un piccolo paziente veniva sottoposto ad una lunga serie di esami e immediatamente trattato con antibiotici, con il risultato di un iter diagnostico-terapeutico complesso e pesante per bambini e genitori».

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