Aumentano i casi di celiachia: quello che c’è da sapere

Ogni mese vengono diagnosticati nuovi celiaci. Ecco sintomi, esami da fare e dieta da seguire per un disturbo che sembra destinato ad aumentare



TROPPE PERSONE NON SANNO (ANCORA) DI ESSERE MALATE

Erano 172.197 gli italiani celiaci al 31 dicembre 2014 (l'ultimo anno per il quale si hanno dati certi): 8000 più del 2013 e 23.500 più del 2012. Tutti i mesi vengono scoperti nuovi casi. Probabilmente all'inizio del 2016 è già stata superata la soglia dei 180.000. «Questa malattia, che colpisce prevalentemente le donne, si sviluppa (in chi ha una predisposizione genetica) in seguito all'assunzione del glutine, una proteina presente nel grano e in altri cereali», spiega Giuseppe Di Fabio, presidente dell’Associazione Italiana Celiachia (Aic). «La sua prevalenza è stata stimata in 1 persona ogni 100 abitanti. In Italia dovrebbero quindi esserci più o meno 600 mila celiaci, mentre in realtà il loro numero risulta al momento molto più basso».

Mancherebbero all'appello ancora in 400 mila. Con quali conseguenze? Che molte persone continuano a mangiare pasta e pane non sapendo che questi cibi potrebbero essere pericolosi. «La soluzione non è certo quella di portare in tavola solo alimenti gluten free: sono “inutili” per chi è sano», precisa Di Fabio. «Ma di individuare prima possibile (e con certezza) se si ha la celiachia».

I SINTOMI CHE DEVONO INSOSPETTIRE

«Nei bambini (il 9,5% dei malati ha meno di 10 anni) è più facile, perché la malattia si manifesta in genere con disturbi classici: diarrea, vomito, calo di peso, arresto della crescita. Negli adulti, invece, può presentarsi anche con sintomi estranei all’apparato digerente: crampi, debolezza muscolare, formicolii, dolori ossei, anemia, afte, dermatite», afferma Marco Silano, coordinatore del Board Scientifico AIC.

L'elenco dei segnali d'allarme è stato ampliato nell'ultima Relazione Annuale al Parlamento presentata dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin. E dovrebbe permettere di identificare meglio le persone che potrebbero essere affette dalla celiachia. «Ma una volta ipotizzata la malattia, solo un esame del sangue per la ricerca degli anticorpi specifici (anti-endomisio e anti-transglutaminasi tissutale EMA di classe IgA) e, quando necessaria, un'analisi della mucosa del duodeno, potranno poi confermare la diagnosi», puntualizza il dottor Silano.

PER MOLTI BAMBINI E RAGAZZI LA BIOPSIA NON SERVE PIÙ

Nella Relazione al Parlamento c'è un'importante novità. «Sono state finalmente recepite le Linee Guida della Società Europea di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica (Espghan)», commenta il coordinatore del Board Scientifico Aic. Ma che cosa cambierà? In pratica, i più piccoli e gli adolescenti non dovranno più sottoporsi alla duodenoscopia (l'inserimento di un tubicino munito di telecamera attraverso la bocca) per l'asportazione e l'analisi della mucosa della parte iniziale dell'intestino.

Questo esame fastidioso potrà infatti essere evitato tutte le volte che il bambino o il ragazzo abbia livelli di anti-transglutaminasi superiori di almeno 10 volte alla norma, presenti gli anticorpi anti-endomisio, sia geneticamente predisposto alla celiachia (test HLA DQ2/DQ8) e, dopo l’inizio di una dieta senza glutine, non abbia più i sintomi che erano stati imputati alla malattia.
La biopsia intestinale rimane quindi un esame necessario per la diagnosi solo in età adulta.

TEST GENETICO SOLO PER POCHI

È necessario eseguirlo in età pediatrica: come abbiamo visto è uno degli elementi in base al quale viene considerata inutile la duodenoscopia. Serve per chiarire eventuali dubbi diagnostici negli adulti. E per individuare i familiari di 1° grado (genitori, fratelli, figli) potenzialmente a rischio. Ma non è un test utile per capire se una persona si ammalerà oppure no. «Ha importanza solo in senso negativo», chiarisce Marco Silano. «Chi non ha i geni sotto esame, sicuramente non svilupperà la celiachia. Ma anche chi ne presenta uno o entrambi ed è quindi predisposto all'intolleranza al glutine (circa il 30% della popolazione), non è detto che poi si ammali (accade solo al 30% dei portatori)».

Ecco perché questo test non può essere considerato utile per arrivare più velocemente alla diagnosi. Servono invece la ricerca degli anticorpi specifici ed, eventualmente, la duodenoscopia.

L'UNICA CURA POSSIBILE È LA DIETA GLUTEN FREE

Una volta che hai scoperto con certezza di essere celiaca, per curarti devi abolire dai tuoi menu tutti gli alimenti che contengono il glutine: grano innanzitutto (che significa pasta, pane, pizza, prodotti da forno), ma anche orzo, avena (solo alcune varietà vanno bene), farro, segale e tutti gli impanati. E devi guardare con sospetto anche cibi apparentemente ok (come risotti pronti, conserve di carne, salumi, torrone e gelati, che potrebbero non essere garantiti gluten free (nel sito dell’AIC puoi leggere l’elenco completo dei cibi permessi, vietati o a rischio).

Oggi un po' di aiuto viene anche da etichette più complete e chiare, dalla vigilanza del Ministero della Salute, da prodotti che mettono d'accordo salute e palato (circa 5000 sono quelli registrati). Hanno un prezzo più alto di quelli convenzionali, per i costi di ricerca e sviluppo, attrezzature dedicate, controlli, materie prime particolari, ma pure sul fronte dei prezzi le cose stanno cambiando e si prevedono riduzioni.

CHIEDI I BUONI SPESA ALLA TUA ASL

Il servizio sanitario nazionale distribuisce gratuitamente gli alimenti per un valore variabile da 45 a 140 € mensili secondo l’età e il sesso (99 € per le donne) a chi ha una diagnosi definitiva di celiachia. I prodotti possono essere ritirati in farmacia (sono diffuse su tutto il territorio nazionale ma l’offerta non sempre è varia), nei piccoli negozi gluten free (che garantiscono un’ampia possibilità di scelta, ma hanno prezzi alti, in linea con quelli delle farmacie), nella grande distribuzione organizzata (Coop, Auchan, Gs, Conad e Despar hanno proprie linee per celiaci a prezzi più bassi).

Sempre più catene di supermercati, inoltre, hanno iniziato ad accettare i buoni del servizio sanitario (perché ciò sia possibile è necessario che il punto vendita abbia attivato una convenzioni con l'Asl locale).

A SCUOLA, IN OSPEDALE, AL RISTORANTE

«Oggi la garanzia di poter disporre di alimenti sicuri per i celiaci  è estesa anche alle mense scolastiche, ospedaliere e pubbliche», scrive il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, nella prefazione alla Relazione annuale al Parlamento. Nel 2014, secondo quanto previsto dalla legge, lo Stato ha erogato quasi 935.000 € per garantire pasti senza glutine nelle mense scolastiche, ospedaliere e altre mense pubbliche, e altri 43.000 € circa per la formazione di ristoratori e albergatori. Un tema sul quale anche l'Associazione Italiana Celiachia è molto sensibile, tanto da avere appena firmato un accordo con la Federazione Italiana Cuochi per ampliare il numero di locali e hotel in grado di accogliere chi non può mangiare il glutine (trovi l'elenco su Celiachia.it).

«Non dobbiamo dimenticare che ai 172.000 malati di casa nostra si aggiungono ogni anno circa 70.000 turisti celiaci provenienti da altri Paesi», sottolinea Giuseppe Di Fabio.

I CONTROLLI DA FARE

Il rispetto della dieta va tenuto sotto controllo nei 6 mesi successivi alla diagnosi e poi ogni 12-24 mesi se non compaiono sintomi che possono essere collegati al glutine. «Il “monitoraggio” viene fatto con la valutazione di un nutrizionista esperto e il dosaggio nel sangue degli anticorpi antitransglutaminasi di classe IgA», precisa il dottor Silano. «Non è invece necessario eseguire una biopsia di controllo a meno che il medico non lo ritenga indispensabile».

Alcuni studi hanno dimostrato che chi segue una dieta senza glutine può assumere quantità inferiori di fibre, calcio, folati e vitamina B12. Se si segue una dieta varia ed equilibrata (ricca di frutta e verdura) non serve comunque prendere integratori. Basta tenere sotto osservazione alcuni indicatori. «Gli esami del sangue per valutare il ferro e i folati vanno eseguiti dopo il primo controllo solo se alterati», è spiegato nella relazione del ministro. Anche il dosaggio dell'ormone tireotropo (TSH) e degli anticorpi anti perossidasi (TPO) per valutare la funzionalità della tiroide vanno effettuati alla diagnosi e, se normali, ripetuti ogni 3 anni». Per altre info sulla celiachia vai su Celiachia.it.

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