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Autismo: che cos’è e come si cura oggi

Un bambino su 100 soffre di autismo, un disturbo ancora misterioso e complesso. Ma ci sono speranze: se si parte al più presto con la giusta terapia, la vita dei bambini colpiti migliora notevolmente

iStock



di Oscar Puntel


È come se un bambino si chiudesse in un suo bozzolo: nessuna comunicazione, nessuna interazione con gli altri. Lo chiamiamo autismo: termine generico e, per la neuropsichiatria infantile, inappropriato. Esiste in una molteplicità di manifestazioni e con diversi livelli di gravità, che si preferisce definirlo “disturbo dello spettro autistico”. Ne soffre un nato su cento.

Sabato 2 aprile 2016, ricorre la Giornata mondiale della consapevolezza dell'autismo, istituita dalle Nazioni Unite nel 2007, proprio per sensibilizzare le istituzioni a migliorare i servizi e l'assistenza a favore delle persone che ne soffrono. Quanto il disturbo sia ancora misterioso e complesso lo si può capire leggendo un libro appena uscito: Macchia, autobiografia di un autistico (Salani Editore). È la storia scritta da Pier Carlo Morello, 35 anni, che nel 2014 si è laureato in scienze pedagogiche a Padova. L’autore soffre appunto di autismo: non legge, dice solo qualche parola, ha un disturbo del linguaggio, ma è riuscito a ultimare gli studi, grazie a un programma particolare che gli ha permesso di affrontare gli esami come tutti gli altri: è stato il primo autistico in Italia a laurearsi, scrivendo una tesi su se stesso. È riuscito anche a scrivere questo libro, le cui frasi con il verbo in fondo ribaltano la nostra idea di sintassi e con essa tutti i preconcetti che abbiamo sull’autismo.


CHE COS’È L’AUTISMO

Ci spiega Giovanni Valeri, neuropsichiatra infantile dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: «Questa malattia è un disturbo del neuro-sviluppo, cioè un disturbo dello sviluppo dell'organizzazione celebrale e, in particolare, di quei circuiti nervosi che sono responsabili dell'intelligenza sociale, cioè quelli che elaborano le informazioni necessarie per le nostre interazioni con gli altri». La persona con autismo è caratterizzata da compromissioni nell’interazione sociale, nella comunicazione verbale e non verbale (quindi la gestualità, il mostrare e l'indicare) e da un insieme di comportamenti e interessi che sono stereotipati e ripetitivi.


QUALI SONO I PRIMI SEGNALI

Si mostrano fra i 12 e i 18 mesi di vita del bambino. Ancora Valeri, neuropsichiatra infantile: «Uno dei segnali più evidenti è la scarsa risposta al nome. Se un bambino ha l'attenzione focalizzata su un oggetto e il genitore lo chiama, questi non si gira». Altri campanelli d'allarme: ritardo nell'acquisizione delle parole e della comunicazione non-verbale. «Per esempio – spiega lo specialista – quando il bambino vuole qualcosa, non lo indica, ma porta il braccio dell'adulto verso l'oggetto». Vi è anche un uso poco creativo o stereotipato degli oggetti e dei giocattoli (come la costruzione ripetuta di file di oggetti). Infine si può anche osservare una regressione delle competenze acquisite, per cui paroline che si davano per conosciute vengono dimenticate improvvisamente.


LE ULTIME NOVITA’ SULLE TERAPIE

«Oggi – aggiunge Valeri - sappiamo che se diagnosticato precocemente, cioè fra i 2 e 4 anni di età, la vita futura di queste persone cambia radicalmente. Di autismo non si riesce ancora a guarire, ma il grado di autonomia delle persone migliora, quanto prima si comincia una terapia».

Le indicazioni dell'Istituto Superiore di Sanità del 2011 prevedono 4 aree di interventi con evidenze scientifiche di efficacia. Sono: la terapia mediata dai genitori; l'uso di strumenti di comunicazione alternativa (ausili visivi e immagini); l'educazione strutturata (con un ambiente di apprendimento apposito); la terapia comportamentale intensiva. «Per questi pazienti dobbiamo seguire un approccio di medicina “personalizzata”, cioè scegliere all’interno di queste quattro aree il giusto mix di cure, in relazione a quello che serve al bambino e alla sua famiglia in quel determinato momento dello sviluppo», precisa Valeri.


PER L’ASSISTENZA AGLI ADULTI LA STRADA È ANCORA LUNGA

Altro aspetto importante per assicurare una vita serena e un benessere psicologico e di autonomia è la transizione dall'età evolutiva a quella adulta. Arrivati a 18 anni, i ragazzi che soffrono di disturbo autistico dovrebbero essere presi in carico dai Centri di salute mentale per adulti, ma troppo spesso questo non avviene. Risultato: l'autismo e gli autistici “spariscono” con la maggiore età.

«Purtroppo nelle facoltà di medicina e nelle scuole di specializzazione in psichiatria, l'autismo è spesso ancora considerato un disturbo dell'infanzia, di esclusiva competenza della neuropsichiatria infantile. Per cui a 18 anni, questi pazienti rimangono isolati in famiglia oppure, se vengono seguiti dai centri specialistici, la loro condizione viene riletta e non sono più autistici ma persone con disturbi della personalità o altre patologie psichiatriche. E rischiano di essere trattati con inutili psicofarmaci e di non continuare il percorso terapeutico intrapreso in precedenza», conclude Valeri.

1 aprile 2016

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