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Allarme alcol: i dati in Italia

Si moltiplicano le iniziative per arginare un fenomeno assai diffuso tra i ragazzi: il binge drinking. Scopri cos’è e perché combatterlo

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Sottoporre all’etilometro i ragazzi appena usciti da pub e discoteche, prima ancora di salire in auto. Senza nessun intento punitivo, solo per renderli più consapevoli di quanto basti poco per diventare un pericolo per sé e per gli altri.

È l’idea alla base del progetto “Drink & Think” che la comandante di gruppo della polizia municipale di Roma Antonella Marsiglia ha messo in pratica nei giorni scorsi in alcuni quartieri simbolo della movida della capitale. I giovani hanno accolto bene l’iniziativa, che ora infatti verrà riproposta in altre zone della città.

Dove tra poche settimane dovrebbe anche entrare in vigore la nuova ordinanza anti alcol, che avrà valore per la prima volta in tutti i municipi e porrà un limite orario al consumo delle bevande alcoliche. Saranno vietate dopo le 2-3 di notte.


I dati dell'allarme

Quello romano è solo uno dei tanti esempi di come le città italiane si stiano attrezzando per combattere un fenomeno pericoloso:

«Secondo gli ultimi dati Istat di fine 2016, dei 12 milioni di italiani che bevono alcol ogni giorno, 8 milioni e mezzo sono a rischio perché eccedono le dosi giornaliere che non bisognerebbe mai superare (due bicchieri per l’uomo, uno per la donna) e 3 milioni e mezzo sono anche propensi al binge drinking, cioè all’assunzione rapida di almeno 6 dosi di alcol al solo scopo di ubriacarsi», precisa il professor Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute (Cnesps - Istituto superiore di sanità).

«E l’aspetto ancora più allarmante è che i binge drinkers tra 11 e 25 anni sono un milione, 175 mila quelli sotto i 17 anni», aggiunge l’esperto.


Come si attrezzano le città

A sostegno della normativa nazionale, si susseguono le ordinanze dei sindaci che puntano ad arginare il fenomeno. Quasi sempre si agisce sugli orari di vendita e somministrazione delle bevande, seppure in modi diversi: a Perugia, città universitaria, il limite è fissato all’1.30.

A Bologna si possono bere alcolici fuori dai locali passata l’una di notte solo in bicchieri di plastica. A Pisa chi ha pagato un drink ha l’obbligo di consumarlo al massimo entro mezz’ora dall’orario di fine vendita, cioè l’una di notte.

A Urbino le regole sono ancora più restrittive: è proibito anche soltanto passare nel centro storico con alcolici in vetro o plastica dalle 20.30 alle 7 del mattino, e non è consentito bere fuori dai locali in nessun momento della giornata. 


La mappa del rischio 

Perché tante differenze? «Il fenomeno non ha le stesse caratteristiche ovunque. Le aree più esposte al rischio sono Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta, se si considerano soprattutto i consumi fuori pasto. E quelle dove la movida è più diffusa, per esempio la riviera adriatica o le città universitarie», dice il dottor Michele Contel, segretario generale dell’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol, associazione per la sensibilizzazione sul tema, che ha tra i soci anche Assobirra.

«Al Centro-Sud ci sono criticità in Abruzzo, Molise, Sardegna e Basilicata, ma non tutto il Meridione dà problemi: in Sicilia, per esempio, si beve meno, ma lo si fa meglio, puntando sulla qualità.

Ed è proprio da qui che bisognerebbe ripartire, dalla cultura del bere con moderazione e cognizione di causa, facendo tornare le bevande alcoliche al ruolo che in Italia hanno sempre avuto: accompagnare i pasti e non una scorciatoia solo per sballare, come accade in tanti altri Paesi del Nord Europa».

È qui il punto: «Oggi i ragazzi imparano presto le più sbagliate abitudini di consumo dell’alcol. A 13 anni in gita scolastica in Italia o a 19 con l’Inter Rail in giro per l’Europa, è molto più facile che siano portati a ritenere normali il binge drinking», fa notare Contel.


Questione di cultura

Che fare? «Aspettare che siano i giovani a informarsi è un errore, da soli non lo faranno mai o lo faranno male. Dobbiamo essere noi adulti a renderli protagonisti della prevenzione.

Il Ministero della salute, l’Istituto superiore di Sanità e la Società italiana di alcologia mettono costantemente in campo iniziative di sensibilizzazione dedicate ai ragazzi. E i risultati si vedono: nella mia esperienza ho visto studenti restare a bocca aperta dopo essersi resi conto degli effetti dell’alcol sulle cellule cerebrali.

Quando faccio loro capire che bevendo si perde il controllo, ricevo sempre grande attenzione e noto più voglia di fermarsi a ragionare per capire meglio i rischi», racconta Scafato.

«E se è vero che un ragazzo si avvicina all’alcol perché convinto che lo aiuti a essere accettato nel gruppo, è importante fargli capire che, una volta ubriaco, quello stesso gruppo non lo accetterebbe più e lo escluderebbe, perché lo vedrebbe come un problema da risolvere», chiarisce ancora l’esperto.

«La disapprovazione sociale di chi beve troppo è l’elemento ideale della nostra cultura su cui far leva», conferma il dottor Contel, «Più ancora di qualunque strategia repressiva ed esageratamente proibizionista.

Quando riusciremo a far capire ai ragazzi che sballarsi è inutile, che per l’accettazione sociale ha più appeal essere attivi, fare qualcosa, darsi allo sport o all’arte o alla cultura, sarà un grande passo avanti. E, con l’aiuto in questo senso da parte delle famiglie e della scuola, potremo dire di essere sulla buona strada per circoscrivere il problema. 


Però mancano i controlli

Il 50% dei ragazzi italiani racconta di aver acquistato alcol liberamente anche quando non avrebbe potuto, perché minorenne o perché fuori dall’orario di vendita: «Colpa dei controlli sui nostri negozianti, che non sono abbastanza capillari e rigorosi.

È un problema molto serio, che all’estero non potrebbe mai accadere: nessun negoziante britannico, per esempio, venderebbe mai dell’alcol a un minorenne, neanche se questi lo supplicasse in lacrime», spiega Emanuele Scafato.

«In Olanda la polizia ricorre al Mistery Shopping: ragazzi appena maggiorenni dal look under 18, regolarmente pagati, mettono alla prova gli esercenti: se riescono a farsi vendere un drink, scatta automaticamente il controllo, la multa e la sospensione della licenza».


I divieti funzionano

Le normative in vigore hanno già ottenuto risultati confortanti. Gran parte del merito va al cosiddetto Decreto Bianchi, del 2007: «Ha permesso di dimezzare gli incidenti stradali mortali tra i giovani e quelli causati dai Tir, imponendo zero alcol alla guida fino ai 25 anni, per chi ha la patente da meno di tre anni, e per i guidatori professionisti come gli autotrasportatori», dice Emanuele Scafato.

«Non solo: la stessa legge ha innalzato a 18 anni il limite di vendita e somministrazione ai minori di bevande alcoliche, che prima era di 16 anni e limitato alla somministrazione». A completare il quadro, sanzioni più severe e controlli più fitti:  Negli ultimi 15 anni sono passati da 350 mila a 1 milione e 800 mila all’anno.

Certo, servirebbero più etilometri: sono 8000 e richiedono una manutenzione continua e costosa. Ma è già molto, se pensiamo che fino al 2000 in alcune Regioni non c’erano affatto». 


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Articolo pubblicato sul n. 22 di Starbene in edicola dal 16/05/2017




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