Autismo infantile: i casi in cui si può guarire

Oggi c’è un protocollo che permette ad alcuni bambini autistici di migliorare notevolmente e addirittura uscire dallo spetto autistico. La ricerca, tutta italiana, è stata presentata in un Congresso a Roma proprio in questi giorni. Noi di Starbene ne abbiamo parlato con la psicologa che ha firmato lo studio




di Oscar Puntel


In alcuni casi si può uscire dalla condizione di autismo. Lo dice uno studio pubblicato su Autism Open Access e presentato proprio in questi giorni a Roma, al 17° Congresso dell’Istituto di ortofonologia  Dal processo diagnostico al progetto terapeutico.

Un team di esperti ha seguito alcuni bambini che presentavano un autismo con caratteristiche simili (li hanno selezionati tramite test predittivi, già usati per identificare la patologia). E ha visto che, opportunamente stimolati, i piccoli possono nel tempo migliorare notevolmente, tanto da spingere gli psicologi a parlare di una prognosi molto positiva. Alcuni bambini sono addirittura usciti dalla condizione di autismo.

Dalla ricerca è nato un nuovo interessante protocollo. Per saperne di più, continua a sfogliare il nostro articolo.

22 ottobre 2016

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QUALI BAMBINI RISPONDONO AL NUOVO PROTOCOLLO

L’autismo è una condizione molto variegata: esistono diversi gradi con cui questa patologia (un deficit nei processi neurobiologici) può esprimersi.

«Noi abbiamo individuato un protocollo che permette di isolare una particolare categoria di bambini all’interno dello spettro autistico e che possono però beneficiare di una prognosi positiva, se opportunamente stimolati sul fronte emotivo-relazionale», chiarisce Magda Di Renzo, psicologa dell’Istituto di Ortofonologia di Roma e prima firma della ricerca.

Questo protocollo è basato su tre diversi test, già conosciuti o adattati. «Lo studio - continua la dottoressa Di Renzo - è durato sette anni. Per 4 anni abbiamo monitorato alcuni bambini (dai 3 ai 6 anni) che presentavano punteggi simili in tre diverse abilità, misurate grazie al protocollo che avevamo messo a punto: la presenza del contagio emotivo (la possibilità cioè di rispondere a un’emozione mostrata da un’altra persona); la capacità di comprendere le intenzioni e i comportamenti degli altri; l’intelligenza fluida, cioè la capacità di risolvere problemi».

I RICERCATORI HANNO LAVORATO SULL’EMPATIA

«Dobbiamo partire da una precisazione: la principale difficoltà dei bambini autistici è una carenza nei processi di empatia. Non riescono a sentire le emozioni degli altri e a concepire che gli altri possano produrre dei pensieri. La terapia ha lavorato su queste aree», precisa la dottoressa Di Renzo.

«All’Istituto si è seguito un approccio evolutivo: significa che gli interventi come situazioni di giochi e diverse stimolazioni miravano a creare una motivazione, una relazione, un contatto corporeo, fisico».

Si è lavorato anche sui genitori, sulla relazione bambino-mamma in particolare. «Nel contesto del gioco - ha detto al convegno la psicomotricista Simona D’Errico - questi tendono a chiedere al bambino delle prestazioni (come si chiama questo?, tirami la palla, fai questo o quello). Invece, va ricercata la sintonizzazione con il bambino autistico. La mamma deve prediligere codici comunicativi non verbali, come dare abbracci, accogliere le risposte del bambino, mostrare un atteggiamento disponibile».

MIGLIORAMENTI SORPRENDENTI

Dopo quattro anni di terapia, i bambini sono stati testati con l’Ados, l'Autism diagnostic observation schedule, un test che si usa per determinare la quantità di autismo.

«La cosa sorprendente è che per alcuni bambini, che prima ricadevano nello spettro autistico, si è constatato il passaggio alla categoria “non-autismo”; mentre per altri il miglioramento è stato significativo, rispetto a quando hanno cominciato la terapia, soprattutto nella capacità di comprendere le azioni degli altri e nel contagio emotivo», dice la dottoressa Di Renzo.

«Questi bambini sono sensibili al trattamento e per loro c’è la prospettiva di un miglioramento. Inoltre, abbiamo anche concluso che nella condizione autistica, il deficit è prima emotivo-affettivo, poi diventa cognitivo». Gli aspetti socio-relazionali rappresentano l’elemento su cui lavorare in terapia e possono essere considerati come indicatori di una evoluzione positiva, con ricadute anche nelle abilità cognitive generali.

AUTISMO, RICONOSCIUTO COME PATOLOGIA DA GENNAIO 2017

Per la prima volta anche l’autismo verrà riconosciuto come patologia che rientra fra i nuovi Lea, i “Livelli essenziali di assistenza”, ovvero l’insieme delle prestazioni e dei servizi erogati dal Sistema sanitario nazionale.

La loro approvazione definitiva è in dirittura d’arrivo alla Camera e saranno attuati da gennaio 2017. «È una svolta per questa patologia - ha ricordato al Convegno la ministra alla Salute, Beatrice Lorenzin -. Permetterà a questi bambini una assistenza di qualità, che sarà aggiornata ogni anno in virtù delle scoperte e della ricerca; l’inserimento sociale e scolastico e un aiuto, una risposta vera alla famiglia, che non sarà lasciata sola, ma accompagnata e seguita in un progetto terapeutico multidisciplinare e personalizzato».

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