Crioconservazione: diventare mamma dopo il cancro si può

Le terapie antitumorali spesso compromettono la fertilità. Ma le nuove tecniche oggi consentono di avere un figlio anche dopo la battaglia contro il cancro



di Angelo Piemontese

Diventare mamma anche dopo un percorso oncologico che mette a serio rischio la fertilità oggi è possibile. Fino a poco tempo fa le giovani malate di cancro vivevano un drammatico dilemma nel dramma: sottoporsi al trattamento ormonale o chemioterapico e compromettere forse per sempre la capacità riproduttiva, oppure posticipare le cure e intanto concepire ma col concreto rischio che il tumore progredisse in modo irreparabile? Adesso il “pensi solo a salvarsi la vita” non è più un imperativo assoluto.

Ecco le belle novità per le donne malate di cancro che vogliono diventare mamme (sfoglia la gallery).

16 maggio 2016


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LA STORIA DI FRANCESCA

Francesca è sposata da meno di un anno e sta pianificando di avere un bambino quando nel giugno del 2015, a 38 anni, le viene diagnosticato un carcinoma infiltrante alla mammella. Necessita quindi di un trattamento di chemioterapia e successivamente di un intervento chirurgico, che possono compromettere in modo irreparabile la sua fertilità. Ma Francesca non vuole rinunciare al suo desiderio di maternità e perciò i medici la inviano a un consulto di oncofertilità: considerando età, tipo di tumore e trattamento, dopo che gli esami hanno indicato una buona riserva ovarica, le viene consigliato prelievo e crioconservazione del tessuto ovarico, che esegue il 30 giugno 2015. Quattro giorni dopo inizia il trattamento chemioterapico. Oggi, sopravvissuta al tumore, può finalmente coronare il suo sogno e programmare la gravidanza, utilizzando il tessuto precedentemente congelato.

La storia di Francesca, vera, testimonia che i trattamenti antitumorali che pregiudicano la capacità riproduttiva non sono più un ostacolo insormontabile per diventare madri e padri: le tecniche di crioconservazione dei gameti oggi garantiscono un “futuro fertile” anche ai giovani sopravvissuti oncologici. Una leva psicologica straordinaria per affrontare con fiducia il percorso di cura nella prospettiva di progetti importanti, come quello di una famiglia. 

I TUMORI CHE METTONO A RISCHIO LA FERTILITÀ

Snocciolare numeri e percentuali è sempre un po’ noioso ma in questo caso rende bene la portata del fenomeno: nel 2016 si prevedono oltre tre milioni di nuove diagnosi di cancro (6% della popolazione italiana) di cui l’8% (circa 200 mila soggetti) riguarderà persone con meno di 44 anni. Significa che ogni giorno in Italia vengono diagnosticati 30 nuovi casi di tumore in soggetti non ancora quarantenni. I giovani pazienti oncologici sono circa 8.000 (5.000 donne e 3.000 uomini).
Ma quali sono i tumori che mettono più a rischio la fertilità nelle donne? «I dati ci dicono che il carcinoma mammario, i tumori della tiroide, il melanoma, il carcinoma della cervice uterina e del colon retto sono i più frequenti» afferma Paolo Scollo, presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia. «E a questi si aggiungono tutte le patologie oncoematologiche che possono insorgere anche in età prebuberale».

GLI EFFETTI DELLA CHEMIO E DELLE TERAPIE

Le terapie antitumorali hanno migliorato in maniera significativa la sopravvivenza dei pazienti allungando l’orizzonte dell’aspettativa di vita a lungo termine e la possibilità di diventare genitori. Tuttavia i trattamenti antiblastici (chirurgia, chemioterapia, radioterapia e terapie biologiche) sono associati a un elevato rischio di infertilità temporanea o permanente
Nelle donne alcuni tipi di chemioterapici, ad esempio quelli che danneggiano il DNA, riducono drasticamente il numero degli ovociti primordiali, intaccando la riserva ovarica, diminuendo le possibilità di concepimento e aumentando il rischio di menopausa precoce, anche se l’attività mestruale ciclica permane dopo i trattamenti antitumorali. Le pazienti con età superiore a 35-40 anni sono maggiormente suscettibili agli effetti della chemio: le ovaie di pazienti più giovani, infatti, possono sopportare dosi maggiori di farmaci. L’assenza di mestruazioni riguarda il 20-70% delle donne sotto i 40 anni e il 50-100% dei casi per età maggiore. La ripresa del ciclo mestruale dopo la sospensione della terapia non sempre si accompagna a una contestuale ripresa dell'ovulazione e dunque a un recupero della fertilità.
Anche la radioterapia ad alte dosi sull’ovaio è sufficiente per causare una permanente disfunzione gonadica, indipendentemente dall’età della paziente. L’esposizione può influenzare negativamente anche lo sviluppo uterino, con maggior rischio di aborto spontaneo o un ritardo di crescita intrauterina del feto durante la gravidanza.

DUE TIPI DI CRIOCONSERVAZIONE

Preservare la fertilità è oggi possibile grazie alla crioconservazione del tessuto ovarico o degli ovociti. Nel primo caso ci sono innumerevoli vantaggi: con un solo prelievo, che avviene rapidamente e indipendentemente dalla fase del ciclo, si possono acquisire moltissime cellule e non c’è bisogno di stimolazione ormonale per produrre ovociti. Inoltre è l’unica opzione in pre-pubertà: si può utilizzare dunque anche per bambine che rischiano l’infertilità per i trattamenti anti-cancro. Per il prelievo degli ovociti bisogna invece ricorrere a un intervento chirurgico e si perde quasi la metà delle cellule raccolte. È una tecnica appena uscita dalla sperimentazione ma «attualmente è la metodica che dà più opportunità di avere, alla fine dell’iter terapeutico e di follow-up, un bambino», afferma il professor Enrico Vizza, segretario SIGO.

PAROLA D'ORDINE: TEMPESTIVITÀ

È necessario però un tempestivo consueling da parte degli oncologi per informare la paziente sulle opzioni per preservare le capacità procreative.
La Società Italiana di Endocrinologia, la Società Italiana di Oncologia Medica e la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia sono al lavoro per elaborare un documento di consenso sulla crioconservazione da proporre alle istituzioni e ai pazienti, per garantire che questi percorsi siano sicuri e accessibili e abbiano come fulcro banche del seme gestite da una rete di Centri di Oncofertilità, in grado di rispondere prontamente alle esigenze dei pazienti.
I tempi per intervenire sono strettissimi: circa un mese tra la diagnosi e l’inizio della terapia. Il periodo finestra tra il momento in cui la paziente riceve la diagnosi di tumore e l’inizio della terapia è l’unico spazio utile per la crioconservazione.
«I Centri di crioconservazione devono essere vicini all’utenza, in modo che la procedura non ritardi l’inizio delle terapie, e qualificati per gestire il processo di crioconservazione, sottoposto a rigide norme di sicurezza per evitare scambi di gameti o possibili inquinamenti da virus, batteri ed altro» afferma Andrea Lenzi, presidente SIE.

CRIOCONSERVAZIONE E FUTURO DEL BAMBINO

Ma qual è l’impatto delle tecniche di crioconservazione sulla gravidanza e sulla crescita futura del bambino? «Nel 1986 è stata descritta la prima nascita da ovociti crioconservati mediante la tecnica del congelamento lento, mentre la prima nascita da ovociti vitrificati è stata riportata nel 1999. La crioconservazione degli ovociti ha mostrato ottimi risultati in termini di sopravvivenza allo scongelamento, fertilizzazione e gravidanza» dice Scollo. «Nell’ultima decade il successo della tecnica è sicuramente migliorato. Non sono state riscontrate differenze significative nei bambini nati da ovociti freschi e da ovociti congelati con tecniche di fecondazione in vitro in termini di difetti di nascita o deficit dello sviluppo».

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