Come conquistare la felicità

E’ ancora un grande mito contemporaneo spesso sopravvalutato. Scopri il parere di filosofi ed esperti sulla regine delle emozioni



di Flora Casalinuovo

Tutti a caccia della felicità. Lo testimonia il trionfo di saggi, romanzi, corsi e film che ne parlano e ci insegnano come conquistarla. In libreria furoreggia il manuale Hygge. Il metodo danese dei piaceri quotidiani (Sperling & Kupfer) di Louisa Thomsen Brits, che affascina chiunque a colpi di trucchi e consigli, ma sono tanti i volumi che promettono la regina delle emozioni.

A Bologna tre donne hanno fondato “2bhappy”, una societàdi consulenza che propone lezioni e master a privati e aziende, mentre a Bari c’è la “Scuola della felicità” con incontri e seminari.

Insomma, questo sentimento rimane ancora un grande mito contemporaneo. Ma qual è la sua essenza? È davvero così importante? Perché lo rincorriamo senza sosta? Cerchiamo insieme le risposte.


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CHE COS'È PER I PENSATORI

Esiste un filo rosso che unisce gli antichi greci e gli uomini del nuovo millennio: tutti hanno provato a definire la felicità, si sono chiesti cosa sia. A livello teorico, l’interrogativo fa parte dell’uomo.

«È un tratto irriducibile, quello che ci rende razionali: l’animale non si pone questa domanda mentre noi lo facciamo da sempre», spiega Roberto Mordacci, preside della Facoltà di filosofia all’università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, dove insegna filosofia morale, e autore del saggio L’etica è per le persone (San Paolo, 7,99 €).

«Se vogliamo definirla, dobbiamo ripercorrere la storia del pensiero. Per gli antichi, questo sentimento è il perfetto equilibrio tra la virtù del singolo e il mondo esterno, quando entrambi sono quasi in simbiosi, si muovono all’unisono verso il bene.

Per l’utilitarismo (dottrina filosofica affermatasi in Inghilterra tra la metà del ‘700 e gli inizi dell‘800) è la realizzazione di tutti i desideri di ogni essere umano, perciò è impossibile da ottenere su questa Terra.

Anche secondo Kant (filosofo tedesco a cavallo tra illuminismo e Romanticismo) è una condizione che non appartiene a questo mondo, anche se possiamo aspirare a essa. Come? Essendo liberi e consapevoli. Quindi, vediamo che per i più grandi pensatori esiste sempre un nesso tra noi e l’esterno: questa emozione non dipende solo dal singolo, non si ferma nell’interiorità.

E per l’uomo contemporaneo? È qualcosa di difficile da realizzare. La crisi economica e quella delle relazioni ci portano a una svolta intimista: felice è chi non si fa aggredire dagli eventi esterni, anzi raggiunge quella condizione in cui ciò che voglio corrisponde a quello che sono e viceversa.

In pratica, è un equilibrio interiore che si raggiunge con senso critico e libertà dai desideri in quanto tali: legarsi a essi è una schiavitù, una dipendenza. Allora bisogna selezionare i desideri “giusti”, quelli che vogliamo davvero e possiamo realmente ottenere».

CHE COS'È PER LA GENTE COMUNE?

Da un punto di vista teorico, la felicità si rivela un equilibrio interiore, costruito su consapevolezza e senso critico. Ma che cosa significa, invece, nella vita di tutti i giorni? Come la percepisce l’uomo comune?

«È una lente. Anzi, un paio di occhiali con cui guardo la realtà e definisco sogni, voglie, idee e relazioni, tutte quelle cose che, appunto, mi rendono piena di gioia», nota Roberta Bortolucci, life coach e autrice del saggio Imparare la felicità (Franco Angeli, 18 €).

«Di conseguenza, si tratta di qualcosa di estremamente personale, ciò che fa gioire me non ha lo stesso effetto su un’altra persona. Edè anche qualcosa di mutevole perché quello che rallegra oggi magari non lo farà più tra un mese.

Di sicuro, però, ci sono ingredienti comuni per tutti, da cui non si può prescindere: il benessere fisico e psicologico, l’autostima, volersi bene e voler bene, quindi le amicizie e i rapporti personali, l’attitudine a ridere e a divertirsi.

Non va poi confusa con la serenità, che è una sorta di equilibrio, di saggezza che ci rende più impermeabili alle preoccupazioni, e con la soddisfazione, che è relativa a un ambito specifico, mentre la felicità è pervasiva».

PERCHÈ LA INSEGUIAMO


«Sgombriamo subito il campo da un equivoco: questo sentimento non è una condizione permanente, duratura, è un picco in cui l’entusiasmo è al massimo e può convivere con le difficoltà e i momenti bui. Credere, invece, che sia un viaggio infinito è un’utopia, e come tale inseguirla è deludente», continua l’esperta.

«È un desiderio destinato a portare frustrazione e invidia: ci sentiamo falliti visto che non la otteniamo e proviamo rancore verso quelli che sembrano averla raggiunta». Siamo consapevoli che cercare questo sentimento può rivelarsi una corsa affannata, che non arriva mai alla fine. Eppure, partecipiamo ugualmente a questa maratona. Perché? «Fa parte della nostra essenza», precisa il prfessor Mordacci.

«L’uomo è un essere razionale e aspirazionale, ovvero vive e agisce grazie alla ragione e alle aspirazioni. Tutti puntiamo a essere migliori, a possedere beni e oggetti e, più di tutto, bramiamo la felicità perché sin da piccoli la sperimentiamo e sappiamo che dona gioia e benessere supremo.

Il solo ricordo di un bel momento ci fa star bene. Non solo: crescendo, capiamo che per arrivare a provare questa emozione dobbiamo migliorare noi stessi, compiere un percorso fatto di scelte e sacrifici, arrivare alla pienezza di sé, alla consapevolezza. Chi non desidererebbe tutto questo? È un anelito, un’energia vitale. E, appunto, è tipicamente umana.

Gli animali non la rincorrono: si limitano alla sopravvivenza e alla prosecuzione della specie». Se fossimo degli scienziati forse dovremmo dire che fa parte del Dna umano. «Per certi versi, è qualcosa di naturale ed è il primo sentimento che sperimentiamo», aggiunge Olga Chiaia, psicologa e psicoterapeuta, autrice de Il bello di uscire dagli schemi (Feltrinelli, 12 €).

«Basta pensare ai neonati, che la scoprono nell’abbraccio della mamma e poi la ritrovano ogni giorno semplicemente perché stanno bene e giocano. In pratica, sono se stessi.

Ed è per questo motivo che aneliamo sempre alla felicità: ci fa veramente essere noi stessi, lottare per ottenerla ci spinge a tracciare un percorso e a scoprire il senso dell’esistenza e ad arricchirla sempre di più. È come se fosse una bussola che traccia la direzione e ci offre la strada migliore».

SCOPRIAMO L'INGANNO


Eppure basta guardarsi intorno, e dentro, per capire che la caccia a questa beatitudine si trasforma in un’arma a doppio taglio. Come abbiamo già visto, la felicità non sembra raggiungibile a lungo nella quotidianità. «È la variabile per eccellenza: muta la sua definizione, è soggettiva, dipende dagli altri e dal mondo esterno», nota la dottoressa Chiaia.

«Come un arcobaleno, che più ti avvicini più si allontana». Proprio il mondo esterno sembra essere l’inganno peggiore. «Il mercato, per sopravvivere, ci ha spinto a identificare la felicità nel possedere, nel fare, all’esterno, invece che nel sentire, all’interno», nota Lucia Dies, medico psicoterapeuta a Milano e a Perugia.

«Ma abiti alla moda, soldi e carriera non bastano mai, non soddisfano davvero a lungo. Anzi, complici la crisi e l’instabilità economica, oggi
possono scomparire da un momento all’altro e far crollare tutto.

Lo stesso vale per un altro inganno, creato dalla società. Ovvero la felicità è apparenza, immagine, è essere perfetti e performanti, conquistare follower e like sui social. Ma anche questo è un castello fragile, bellezza e fan passano con il tempo.

Insomma, abbiamo polarizzato la vita nella ricerca della felicità esteriore. Il motivo? Non siamo preparati a cercare questo sentimento dentro di noi perché è un percorso gravoso, basato su domande difficili, compromessi e sofferenze».

COME NON ESSERNE SCHIAVI


Una cosa è certa: giocarsi la sfida di imparare a guardarsi dentro può essere una scelta vincente contro quest’incessante ricerca della felicità, che rischia di fallire, lascia svuotati e insoddisfatti. Bisogna invertire la rotta, con i consigli delle nostre esperte:


1. Accetta il negativo - «Il primo passo è capire che serve lavorare su se stessi, ascoltarsi», dice la dottoressa Dies. «Per esempio, se in un certo periodo ci si sente tristi, arrabbiati, stanchi, si deve imparare ad accettare il momento per quello che è.

Una consapevolezza che non porta a subire passivamente la situazione, ma a definire il problema e a circoscriverlo, senza permettere che uno stato d’animo negativo pervada tutta la vita, abbattendosi inutilmente. Questo confinamento ci permette di avere risorse ed energie per aspirare a un cambiamento positivo.


2. Annoiati - «Il passo successivo è imparare a gestire la solitudine: non quella dei rapporti, ma il distacco dai beni materiali, dagli impegni incasellati a forza», prosegue Dies.

«Se ti senti infelice nel momento in cui non compri qualcosa o non fai niente, sbagli in quanto sei dipendente solo da una felicità fasulla. Invece una condizione di noia (anche solo mezz’ora al giorno sdraiata sul divano) abitua la mente a svuotarsi e a virare la sua attenzione su pensieri positivi e ricordi piacevoli, che sono poi la premessa della felicità».


3. Sottrai - «Ecco il passo più importante: porsi delle domande e analizzare quello che si vuole veramente per il proprio io, per essere in equilibrio con se stessi», spiega la dottoressa Dies.

«Ognuno trova il suo metodo: c’è chi compila elenchi, chi ne parla a lungo con le persone fidate, chi cerca risposte nella meditazione o nella yoga. L’importante è fare chiarezza su indole e desideri.

Nella maggior parte dei casi, ci si ritrova a compiere un’opera di sottrazione: a eliminare gli aspetti futili, i sogni effimeri, le esigenze stressanti. E alla fine ci si concentra su una dimensione esistenziale più basica e in sintonia con la nostra vera natura».


4. Sii fiera - La parola d’ordine è ridimensionare. «La strada più semplice per farlo è riscoprire anche altre emozioni, spesso dimenticate, o ritenute secondarie. A torto», suggerisce la psicologa Olga Chiaia.

«Una di queste è la fierezza, ovvero essere orgogliose di se stessi, del proprio progetto personale perché lo si porta avanti con tenacia e con il massimo dell’impegno, migliorando giorno dopo giorno. Certo, prima bisogna esplorarsi e scegliere il proprio obiettivo primario».


5. Diventa generosa - «Un’altra emozione da testare è la generosità: fare qualcosa per gli altri, aiutare gli amici, essere disponibili e trasformare tutto ciò in un mantra, non in un proposito saltuario», conclude l’esperta.

«Ricordati che l’altruismo regala emozioni “solide”: sono alla portata di tutti, più oggettive (non sono ancorate solo a te stessa, trai appagamento dalla felicità degli altri) e durano nel tempo perché non solo legate a un bene materiale o al tuo umore», conclude la psicologa. 

LA DIFFERENZA FRA INFELICITÀ E INSODDISFAZIONE


Per gli psicologici sono due malesseri tipici della società contemporanea. «L’infelicità, però, si rivela più pervasiva. È un sentimento che offusca e paralizza, che si accompagna a un senso di inadeguatezza e spesso è difficile stabilirne la causa», spiega Olga Chiaia, psicologa e psicoterapeuta.

«L’insoddisfazione invece riguarda un ambito specifico, per esempio un lavoro che non gratifica più o una serie di storie d’amore sfortunate. Di solito è limitata nel tempo e, come consiglio ai miei pazienti, si affronta sempre con l’azione, puntando verso l’obbiettivo e risolvendo i problemi.

Tra l’altro, infelicità e insoddisfazione non sono per forza legate tra loro, come hanno dimostrato diverse ricerche. Così come la soddisfazione non genera automaticamente la felicità: la prima arriva quando si raggiunge un singolo scopo (il lavoro dei sogni, appunto), la seconda è qualcosa di interiore, uno stato d’animo senza motivo».

UNA SENSAZIONE CHE DIPENDE MOLTO DALL'UMORE


L’avrai notato anche tu: il tuo stato d’animo domina spesso la felicità. E quella cosa che ti faceva gioire al massimo ieri, lo fa di meno oggi per colpa di un imprevisto che magari ti ha spazientito.

«Umore e benessere fisico sono legati a doppio filo alla nostra idea di felicità», commenta Lucia Dies, medico psicoterapeuta a Milano e a Perugia. «La ragione? Realtà e felicità non esistono di per sé, ma si creano nel momento in cui facciamo una determinata esperienza e questa è molto diversa non soltanto da individuo a individuo, ma anche da momento a momento.

Si tratta quindi di due concetti dinamici, non statici». Gli sbalzi d’umore, poi, oggi sembrano all’ordine del giorno. «Le nostre giornate sono diventate sempre più frenetiche, con stimoli, notizie, impegni ed emozioni continue, quasi fossimo su un ottovolante»,prosegue l’esperta.

«I tempi sono molto rapidi rispetto alle problematiche che dobbiamo affrontare, così organismo e mente faticano a reagire e rispondono con cambi di umore repentini, come se cercassero di difendersi». E l’equilibrio pare davvero una chimera. «Opporsi agli sbalzi d’umore è un errore», conclude la psicoterapeuta.

«Sono legati anche a questioni fisiche, che  prescindono dalla nostra volontà. Quando percepiamo che ci stanno dominando, però, è utile
fermarsi, anche solo per alcuni minuti: niente decisioni importanti, azioni d’impulso o ragionamenti troppo pessimistici.

Mettiamo la mente in stand by e ripetiamoci che il momento no non deve offuscare la felicità. È come un’onda che arriva quando stiamo nuotando: meglio lasciarsi trasportare con calma, nuotando, ma senza forzare bracciate e respiro».

Articolo pubblicato sul n.13 di Starbene in edicola dal 14/03/2017

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