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Quanto pesa il web sull’anoressia

Si parla tanto dell’influenza negativa di Internet e social network sui giovani che soffrono di disturbi alimentari. Facciamo chiarezza con gli esperti

Foto © Serge Krouglikoff/Corbis



di Cristina Sarto

Esiste un legame tra i disturbi del comportamento alimentare e l’utilizzo di Internet e dei social network? Una recente ricerca della Florida State University ha dimostrato che, dopo aver trascorso venti minuti su un social, le ragazze avvertono un senso d’insoddisfazione nei confronti del proprio corpo. Sia chiaro: accade soprattutto a chi ha una scarsa autostima e non basta certo questo a scatenare il rifiuto del cibo.
Una qualche influenza negativa, però, è stata messa nero su bianco. Ma sempre più spesso è proprio la Rete a ribellarsi a certi modelli. Basti vedere il putiferio che si è scatenato poche settimane fa su Twitter, dopo che il magazine danese Closer ha messo in copertina una modella pelle e ossa: pioggia di critiche sotto l’hashtag #covergate e scuse immediate del giornale. E ancora i tantissimi like su YouTube al video di Giulia Watson, una fashion blogger appena uscita dal tunnel dell’anoressia. Una cosa è sicura: avere in casa un’adolescente 2.0 e decidere se e come regolare l’accesso alla tecnologia non è per niente semplice.


PROIBIRE SERVE A POCO
Anoressia e bulimia esistevano ben prima del boom di tablet e smartphone. «Il problema è soprattutto sociale, a incidere negativamente non è solo l’online», precisa Ettore Corradi, direttore del Centro per il Trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Ospedale Niguarda di Milano. «Quando un’adolescente affronta una malattia così complessa, tagliare l’accesso ai social serve a poco. Nel mio reparto è proibito di giorno, ma solo perché le pazienti si concentrino meglio sulle terapie», continua il medico. «Di sera, possono fare quello che vogliono. Però, teniamo gli occhi aperti: se ci accorgiamo che visitano siti pericolosi o che online si scatenano dinamiche di competizione con le compagne, allora scatta il divieto».

IL BOOM DEI SITI PRO-ANA
Internet è un fenomeno complesso e in grande evoluzione. «Con l’avvento dei social network, i blog pro-ana e pro-mia, dove le ragazze si confrontano e si motivano a vicenda alla ricerca di un corpo ideale (che corrisponde alla magrezza eccessiva), sono proliferati: basta un’immagine postata, per esempio su Instagram, magari abbinata all’hashtag giusto, per attirare sul proprio diario online decine di nuovi “adepti», spiega Michele Facci, psicologo e autore del libro Generazione Cloud (Centro Studi Erickson). «Purtroppo, poi, il web tende a “normalizzare” anche le scelte più estreme. Quando una ragazza vede che altre come lei si riempiono di lassativi pensa: “Se lo facciamo in tante, che male c’è?”».
Allo stesso tempo, però, è anche grazie a questi spazi virtuali se molte giovani in difficoltà vengono ripescate dall’abisso. «Dietro al selfie di una persona scheletrica si nasconde spesso anche una richiesta di soccorso», racconta Cristina Bonucchi, psicologa della nostra Polizia di Stato, una delle più attive al mondo nella tutela dei minori dai pericoli della Rete. «È proprio incappando in questi blog che i cittadini ci segnalano un’adolescente da aiutare. E noi, fatti gli opportuni accertamenti, avvertiamo la famiglia». Il passo successivo è la chiusura del blog, che spesso riapre con un nome diverso o appoggiandosi al server di un altro Paese, dove i controlli sono meno serrati. Nel 2008 c’è stata anche una proposta di legge (rimasta tale) che prevedeva l’aggiunta nel codice civile del reato di istigazione all’anoressia.


IL POTERE DI UN HASHTAG
Studi alla mano, infatti, quando le campagne di sensibilizzazione investono i social network, aumentano le richieste di aiuto ai centri specializzati. Le ultime in ordine di tempo? #speakbeautiful, promossa da un famoso brand di creme di bellezza per invitare il popolo della Rete a parlare in termini positivi del corpo femminile. Oppure la petizione online per chiedere a Facebook di rimuovere la emoji (la faccina gialla) collegata allo status “mi sento grassa”.


IL RUOLO DELLA FAMIGLIA
Come deve muoversi un genitore? «Mai proibire Internet a una bambina, lasciando che poi lo scopra da sola quando è più grande», suggerisce lo psicologo Michele Facci. «L’ideale è usare il computer o il tablet insieme, per farle scoprire la ricchezza di questa risorsa, mettendola in guardia dai suoi pericoli. Nella fase della preadolescenza è bene lasciare più autonomia, controllando ogni tanto le sue mosse. Dopo, non resta che osservare. E chiedere spesso: “come stai?”, “sei felice?”. Una ragazza di 15-16 anni non confesserà mai l’ossessione per il cibo, ma la sua reazione a una domanda simile, per quanto ostile, può rivelare moltissimo a un genitore attento».


Articolo pubblicato sul n° 13 di Starbene in edicola dal 17 marzo 2015