Additivi: non sono tutti innocui

Si aggiungono agli alimenti per conservarli e lavorarli meglio, ma alcune di queste sostanze possono scatenare allergie. Altre sono sospettate addirittura di favorire i tumori. Ecco come stare alla larga dagli additivi più rischiosi



di Valeria Ghitti

Il 4% degli italiani allergici o intolleranti lo è verso alcuni additivi alimentari: un popolo di circa 100 mila persone, in continuo aumento. A dirlo è la Società italiana di allergologia, asma e immunologia clinica (Siaaic), che stima in un chilo la quantità media di questi “aiutini”, ingerita ogni anno da ciascuno di noi.

Oltre 300 sostanze diverse (senza contare gli aromi), prive di valore nutrizionale, ma aggiunte ad alcuni alimenti per facilitare la lavorazione, per favorire la conservazione o, ancora, per migliorare aspetto, sapore, odore e consistenza. Alcuni sono indispensabili. Altri no. Cerchiamo di fare chiarezza, con un occhio di riguardo per il nostro benessere.


COME SONO CLASSIFICATI?

«Quelli permessi dall’Unione europea sono inclusi in una lista specifica», risponde Paolo Stacchini, direttore del reparto di Sicurezza chimica nella filiera alimentare dell’Istituto superiore di sanità. «Ne fanno parte sostanze diverse: molte, riconosciute come assolutamente innocue (tipo l’acido citrico, antiossidante), sono utilizzabili secondo il principio quantum satis, cioè quanto basta per ottenere l’effetto desiderato. Alcuni “aiutini” possono essere impiegati solo entro determinati limiti ben precisi. Si tratta della Dga, la dose giornaliera accettabile (diversa caso per caso) che si ritiene possa essere assunta per tutta la vita senza rischi».


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Articolo pubblicato sul n° 33 di Starbene in edicola dal 2 agosto 2016

POTREMMO FARE A MENO DEGLI ADDITIVI?

«Dei coloranti sì, per esempio. Perché hanno solo una funzione estetica. Pensiamo alla menta, normalmente trasparente: per favorire la vendita di prodotti che la contengono (sciroppi, ghiaccioli, gelati, caramelle) si aggiungono giallo e blu artificiali all’unico scopo di “attirare” il consumatore», sostiene Giorgio Donegani, tecnologo alimentare.

Lo stesso discorso vale per gli aromi (se gli ingredienti utilizzati sono di qualità, non servono) che però non appartengono propriamente alla famiglia degli additivi».

COSA POSSONO CAUSARE GLI ADDITIVI?

«La sicurezza degli additivi è garantita per la maggior parte della popolazione, ma possono esserci effetti avversi, limitati ad alcune categorie di persone o a un consumo particolare, e sono segnalati in etichetta», spiega Laura Rossi, nutrizionista del Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (CRA-NUT).

«È il caso dell’aspartame che, in quanto fonte dell’aminoacido fenilalanina, non può essere assunto da chi soffre di fenilchetonuria, o dei dolcificanti di massa, come mannitolo e simili, il cui consumo eccessivo può avere un effetto lassativoPer quanto riguarda le allergie, possono scatenarle solo i solfiti, conservanti a effetto anche antiossidante usati nel vino, nei crostacei e nella frutta secca».

GLUTAMMATO E POLIFOSFATI VANNO EVITATI?

«Alle dosi e alle modalità di impiego ammesse glutammato e polifosfati non danno problemi: gli studi hanno smentito che il primo sia correlato alla “sindrome del ristorante cinese” (caratterizzata da malessere e mal di testa) e a possibili effetti neurotossici, mentre si ritiene che i polifosfati possano ridurre l’assorbimento di calcio solo nei bambini (per questo sono vietati nei formaggini), precisa Giorgio Donegani.

«Il loro impiego, però, può essere la spia di una scarsa qualità del prodotto: il glutammato spesso è usato per dare sapore ad alimenti che ne hanno poco, mentre i polifosfati, trattenendo acqua, servono per aumentare il peso del cibo (il prezzo, dunque, dovrebbe essere più basso rispetto a quello di prodotti analoghi che ne sono privi)».

PERCHÉ SI CONTINUANO A USARE I NITRITI?

Questi conservanti, che possono favorire la formazione (nei cibi e in chi li mangia) di nitrosammine cancerogene, servono per evitare lo sviluppo della tossina botulinica. Sono indispensabili nei prodotti da consumare crudi, ma non in quelli cotti (come la carne in scatola).

Oggi, comunque, ne vengono impiegate quantità ridotte rispetto a un tempo. «E alle concentrazioni d’uso consentite, gli studi mostrano che non danno vita a sostanze rischiose negli alimenti, mentre per quanto riguarda la formazione di nitrosammine nell’uomo, i risultati sono controversi», conclude Paolo Stacchini.

I COLORANTI "AGITANO" I BAMBINI?

Uno studio inglese del 2009 sostiene che i coloranti, l’E102, l’E104 e l’E110 (gialli) e l’E122, l’E124 e l’E129 (rossi) possono influire sull'attenzione e sull'attività dei più piccoli. La ricerca, però, è stata giudicata insufficiente dall’Efsa (l’Ente europeo per la sicurezza alimentare).

«La Ue ha comunque applicato il principio di precauzione imponendo, dal 2010, di indicare sull’etichetta dei prodotti che contengono questi coloranti la dicitura “può influire negativamente sull’attività e l’attenzione dei bambini”. Da allora molte aziende hanno sostituito le sostanze sotto accusa con altre meno discusse», spiega Paolo Stacchini, dell’Istituto superiore di sanità.

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