Kyminasi diet: il microchip per dimagrire

Grazie a un dispositivo che emette onde elettromagnetiche, si perdono fino a 45 kg in 6 mesi. Scopri come funziona



di Francesca Soccorsi

È una novità e chi l’ha provata conferma di aver ottenuto benefici reali e duraturi. In molti la conoscono come dieta del microchip (in realtà si serve di un dispositivo a medaglietta “incollato” sull’addome e non inserito sottopelle), ma il suo nome è Kyminasi Diet.

L’hanno ideata lo svizzero Fulvio Balmelli, che ha dedicato oltre 25 anni di ricerca alla biofisica e all’alimentazione, e il dottor Elia Roberto Cestari, responsabile scientifico del progetto. A lui si deve la messa a punto di un protocollo che promette di favorire la corretta autogestione da parte dell’organismo delle sostanze introdotte con il cibo.

«Kyminasi non è un comune regime ipocalorico, ma una riprogrammazione del metabolismo, che stimola l’organismo a nutrirsi dei propri grassi in eccesso», chiarisce Balmelli.

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GLI OBIETTIVI

Il metodo sembra aver risolto uno dei problemi principali delle diete. Permette di dimagrire e rimodellare la silhouette senza sentire la fame. «Il merito è di un dispositivo caricato con onde elettromagnetiche (vedi qui di seguito), che stimola il corpo a ritrovare le sue naturali capacità metaboliche e a “desiderare” un’alimentazione più sana bloccando l’appetito immotivato», puntualizza il ricercatore.

Il programma si rivolge un po’ a tutti: la Kyminasi Diet, della durata di 6 mesi, va bene per gli obesi, che devono perdere da 10 a 45 chili, ma ne esiste una versione ridotta, di 3 mesi, per chi ha bisogno di smaltirne tra 6 e 9 (Kyminasi Mini Diet).

Nelle prime 4 settimane, è possibile eliminare fino a 16 kg e chi ne avesse più di 45 in eccesso può ripetere il programma dopo 3 mesi. «Certo, tutti questi chili in 30 giorni possono sembrare troppi ma, nel caso dei grandi obesi, con un Indice di massa corporea superiore a 40, un calo così repentino e importante va bene, purché avvenga sotto la supervisione di un medico», rassicura Diana Scatozza, specialista in scienza dell’alimentazione.

IN COSA CONSISTE

Come deve accadere in ogni dieta seria, prima di cominciare il medico prescrive esami del sangue e delle urine, che servono a stabilire se il paziente può intraprendere o meno il programma.

«Poi, si esegue la prima visita medica e si personalizza il piano alimentare: oltre all’applicazione del dispositivo, infatti, il metodo prevede un regime dietetico costruito per ovviare all’antagonismo che si verifica nel corpo fra due ormoni, l’insulina e il glucagone, quando mangiamo carboidrati e che ci impedisce di bruciare i grassi in eccesso», aggiunge Balmelli.

COME SI MANGIA

La dieta è suddivisa in fasi, ciascuna preceduta da un controllo medico. «Tra una visita e l’altra, il paziente è costantemente in contatto con lo specialista, che monitora l’andamento del programma ed, eventualmente, interviene per correggerlo», spiega il dottor Cestari. «Le diete che non fanno “sentire soli” danno buoni risultati, perché eventuali cali di motivazione vengono subito intercettati», commenta la dottoressa Sara Cordara, biologa nutrizionista.

Il primo mese è quello più restrittivo: bisogna pesare gli alimenti (ma, per chi segue la Mini Diet, le dosi sono libere) e, di solito, saltare la prima colazione. Insomma, si scardina uno dei dogmi dei regimi dimagranti, cioè che bisogna mangiare al mattino per evitare di arrivare al pranzo affamati, grazie alle onde emesse dal dispositivo, che non fanno avvertire fame.

«Si possono mangiare diverse verdure, tra cui cavolo, porro e melanzane, carni bianche e pesce (spada, dentice, platessa e polpo), cotti al vapore, alla piastra o bolliti, quindi preparati con metodi soft e salutari. Sono permessi anche alcuni tipi di frutta, come mele, pere, fragole e pesche, senza superare i 600 g al giorno. Non sono consentiti i grassi, olio d’oliva incluso, ma puoi usare sale, spezie e limone.

Dal secondo mese non si è più limitati nei dosaggi. Via libera a tutti i tipi di vegetali, di pesce e di carne (tranne il maiale) e a tutte le varietà di frutta (sempre rispettando il quantitativo massimo di 600 g).

Tra il terzo e il sesto vengono reinseriti gradualmente tutti gli altri cibi, fino a tornare a un’alimentazione completa. Al termine del programma, il medico dà al paziente le dritte da seguire per il mantenimento.

LE CONTROINDICAZIONI

«Escludere per un mese gran parte della frutta e per due i carboidrati complessi può provocare acidosi, per via del notevole introito proteico», osserva Cordara. «Considero eccessiva anche l’eliminazione per 30 giorni di tutte le fonti lipidiche, compreso l’olio extravergine d’oliva, che favorisce l’assorbimento delle vitamine idrosolubili e le funzioni intestinali.

Il rischio nella prima fase è di andare incontro a una forte stipsi, anche a causa del ridotto apporto di fibre», aggiunge la dottoressa Scatozza, che conclude: «È indispensabile bere moltissima acqua che, in più, bilancia il carico renale dovuto alle proteine e l’acidosi».

IL DISPOSITIVO PARLANTE

Viene posizionato due dita sotto l’ombelico mediante un cerotto anallergico. «Si tratta di una medaglietta in acciaio, priva di batteria e di circuiti elettrici. Quando entra in contatto con la pelle, rilascia frequenze elettromagnetiche, simili a quelle utilizzate dalle nostre cellule per mandarsi messaggi da una all’altra.

Attraverso l’emissione di queste onde, il dispositivo cerca di “influenzare” (correggendolo) il modo in cui l’organismo impiega le sostanze introdotte con il cibo. Il vantaggio è che il nostro corpo può scegliere se usare o meno queste nuove “informazioni”. Ecco perché si tratta di un programma che non ha effetti indesiderati», spiega il dottor Balmelli. Le onde del dispositivo, è meglio chiarirlo, non sono paragonabili a quelle dei ripetitori per i cellulari (messe periodicamente sotto accusa)!

Articolo pubblicato sul n. 17 di Starbene in edicola dal 12/04/2016

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